a cura della redazione - 25 May 2018

Yamaha RD 500 LC, brivido caldo

Con la RD 500 LC Yamaha inaugura la breve moda delle repliche stradali delle 500 GP. Ispirata alle moto ufficiali schierate nel Mondiale all’inizio degli anni Ottanta, questa 4 cilindri a V due tempi è una sportiva senza compromessi

Nella prima metà degli anni Ottanta la rivalità fra le Case giapponesi arriva a un livello mai toccato prima. Honda, Yamaha, Suzuki e Kawasaki si sfidano senza esclusione di colpi nel Mondiale Velocità, nel Cross e nei raid africani, raccogliendo soddisfazioni ed amarezze. Ma la lotta per la supremazia in ambito sportivo è nulla in confronto a quanto si vede dal punto di vista commerciale. Pur di conquistare maggiori quote di mercato le novità vengono “sfornate” praticamente a getto continuo, creando entusiasmo, ma anche disorientamento fra gli appassionati, che a volte sembrano quasi non reggere il ritmo delle continue presentazioni ai Saloni. Quando una delle quattro lancia un nuovo modello, tutte le altre nel breve volgere di uno, due anni al massimo, sono costrette a ribattere per tenere il passo. È successo nel 1976 con l’arrivo della Yamaha XT500 che ha fatto nascere la moda delle Enduro e la cosa si è ripetuta poco tempo dopo alla presentazione della Honda CX500 Turbo che ha inaugurato l’effimera e breve stagione delle moto sovralimentate.

Nel 1983 fra gli addetti ai lavori inizia a circolare con insistenza la voce che la nuova sfida commerciale fra le giapponesi sarà costituita dalle maxi-supersportive a 4 tempi. Non solo, in molti azzardano un’ipotesi: l’offensiva verrà lanciata da Honda e Suzuki, le uniche ad essersi impegnate con continuità nell’Endurance e nel Mondiale F1 - cioè le sole categorie dove all’inizio degli anni Ottanta possono ancora gareggiare le moto a quattro tempi - con dei modelli derivati dai loro prototipi da corsa. Invece è ancora la Yamaha a calare il suo asso, spiazzando tutti come aveva fatto nel 1976 con la XT, grazie alla RD 500 LC. Che è sì una race replica come avevano ipotizzato gli esperti del “toto-motomercato”, ma è una 500 cc e per di più a 2 tempi!

Ritorno al passato

La scelta della Casa di Iwata sembra essere in apparenza priva di senso, dato che all’epoca della sua presentazione - al Salone di Tokyo del 1983 - le moto stradali a 2 tempi di grossa cilindrata sono sparite dal mercato da non meno di 5 anni. E oltretutto, quando negli anni Settanta imperversavano sulle strade le Kawasaki H1 500 e H2 750, nonché tutte le varie versioni di Suzuki GT e Titan, la Yamaha era stata alla finestra per un ripensamento dell’ultima ora. Infatti, dopo aver presentato al Salone di Tokyo del 1971 il prototipo della GL 750, una quattro cilindri in linea 2 tempi raffreddata ad acqua, dotata di iniezione e accensione elettronica che aveva suscitato unanimi consensi, la Casa di Iwata aveva preso tempo e poi annullato la produzione. La GL avrebbe potuto essere la prima race replica giapponese dato che il suo progetto era stato sviluppato contemporaneamente a quello della TZ 700, la quattro cilindri 2 tempi che dal 1974 al 1980 ha sbaragliato le gare della Formula 750 e del successivo Mondiale di categoria. Perché facendola passare come la base di quest’ultima, ne avrebbe giustificato la partecipazione a queste competizioni riservate per regolamento a moto derivate dalla serie. Ma poi la Federazione Motociclistica Internazionale aveva fatto un passo indietro e si era accordata con la Yamaha, decidendo di omologare direttamente la TZ 700 grazie alla produzione di un lotto di 200 esemplari, senza bisogno di alcuna intercessione di modelli stradali a sua “copertura”. E della GL 750 se ne erano perse le tracce.

Anche la RD 500 LC ha un legame molto stretto con la pista, perché per la sua realizzazione i tecnici Yamaha attingono a piene mani dall’esperienza maturata nel Mondiale 500. Nel biennio 1981-1982 il Reparto corse di Iwata aveva realizzato quattro diverse moto da GP (0W53-54-60-61 per la precisione), con svariate soluzioni tecniche per motore e telaio da cui prendere spunto. Infatti, anche se al suo debutto la RD 500 LC viene presentata come la replica stradale della 0W70 che con Kenny Roberts ha sfiorato il Mondiale 500 nel 1983, l’accostamento è un po’ forzato che perché la parentela va ricercata nelle già citate versioni precedenti, anch’esse a digiuno di titolo iridato nonostante il gran spiegamento di uomini e mezzi messo in campo dalla Yamaha.

I segreti del suo motore

Una ciclistica all'altezza

Il motore non è comunque l’unico pezzo forte della nuova moto che, oltre ad avere un’estetica in grado di togliere il sonno agli appassionati, può anche vantare una ciclistica di prim’ordine. La versione presentata al Salone di Tokyo ha uno splendido telaio doppia culla chiusa in tubi quadri d’alluminio che sembra provenire direttamente dalla 0W60 GP del 1982 (che però, è bene ricordarlo, ha il motore quattro cilindri in quadrato e non a V). La forcella telescopica Kayaba ha steli da 37 mm, è regolabile nel precarico molla ed è dotata di un sistema antiaffondamento che copia quello visto sulle moto da corsa della Casa di Iwata. La sospensione posteriore può contare invece su un monoammortizzatore Kayaba, regolabile nel precarico molla e nel freno idraulico, sistemato sotto al motore in posizione orizzontale. Per finire, la moto è verniciata nella livrea biancorosso che la Yamaha riservava all’inizio degli anni Ottanta alle sue moto ufficiali e, quasi a voler completare il look di race-replica, ha le ruote e le flange dei dischi color magnesio. Non appena le prime immagini del nuovo modello vengono pubblicate dalle riviste europee, gli appassionati vanno in fibrillazione e iniziano a contare i giorni che li separano dai Saloni autunnali (Parigi e Milano), dove potranno vedere e toccare con mano la novità. Nei piani della Yamaha, che nel biennio 1982-1983 ha registrato una flessione di vendite del 16,4% nel mondo (-20% addirittura sull’importantissimo mercato americano, anche a causa di una pesante tassa sulle importazioni voluta dall’amministrazione Reagan per le moto di cilindrata superiore ai 700 cc), il mercato europeo è quello su cui si concentreranno i maggiori sforzi di promozione e vendita della nuova moto, la prima di una serie di modelli con cui la Casa di Iwata nella seconda metà degli anni Ottanta si costruirà una solida immagine sportiva che fino a quel momento non le apparteneva.

Moto senza compromessi

Non per tutti

Passata la sbornia di emozioni iniziano però le riflessioni più sensate: la RD 500 LC è una moto che richiede un certo mestiere per essere portata al limite e non è esente da difetti. Il cambio ha una prima piuttosto lunga (circa 90 km/h), che costringe a sfrizionare quando si vuole partire “allegri” dai semafori (e non è detto che si riesca a farlo sempre correttamente). La carena non offre un’adeguata protezione aerodinamica, specie ai piloti di taglia medio-alta che si ostinano ad utilizzare la nuova Yamaha anche in autostrada. Il motore si accende al primo colpo, ma la leva del kick-starter è posizionata troppo in alto rispetto al piano sella, costringendo il pilota ad una specie di contorsionismo con la gamba. Inoltre la leva va spostata verso l’esterno dalla sua posizione insinuata nella carenatura e, prima di scalciare, bisogna ripiegare la pedana destra. Nonostante la presenza del contralbero, il V4 vibra in maniera leggera, ma a una frequenza che risulta essere fastidiosa al manubrio e sulle pedane se si percorrono molti chilometri. E a peggiorare il comfort di marcia contribuiscono anche le marmitte dei cilindri posteriori, che scaldano oltre misura la sella e i fianchetti in prossimità delle gambe del guidatore. I consumi, che nella prova vengono definiti “variabili in funzione delle richieste che si fanno al motore” si attestano mediamente sugli 11,5 km con un litro di miscela che diventano 10 in autostrada (ma la Casa addirittura ne dichiarava 8,3…). Il che significa che un pieno di olio dura a malapena 500 km e l’autonomia assicurata dal serbatoio da 22 litri è di poco superiore ai 200 km.

In più il 4 cilindri necessita di cure amorevoli: le candele, forse un po’ troppo fredde come grado termico, sono sempre pronte ad “azzoppare” il motore facendolo andare a tre cilindri se si usa la moto in città o a bassa andatura. La carburazione invece diventa l’incubo dei meccanici perché i quattro Mikuni non vogliono saperne di “accordarsi” fra loro. Fare il livello della benzina nelle vaschette diventa un’impresa e i condotti di compensazione fra quelli di aspirazione dei cilindri della stessa bancata sono un inutile impiccio, soprattutto se si segue alla lettera la procedura descritta dal manuale d’officina. Così alcuni li staccano e poi li reinseriscono ad operazione eseguita. I sostenitori della RD 500 LC, all’epoca, ribattono prontamente che i difetti appena elencati sono lo scotto da pagare quando si sceglie una moto da corsa targata e che le emozioni regalate dalla guida fanno passare in secondo piano tutto il resto. Ma siamo proprio sicuri che la nuova Yamaha sia veramente così efficace? Certo, come hanno fatto notare i tester, il suo motore ha un’erogazione lineare e ha sufficiente coppia anche in basso. Ma è lento a prendere i giri e si riscatta solo dopo aver superato la soglia dei 7.000. Nel complesso la RD 500, affidata a mani esperte, non è affatto agile come dovrebbe essere una moto che si ispira al mondo dei GP: lenta nell’inserimento in curva e poco reattiva nei cambi di direzione. La maneggevolezza promessa dalla ruota da 16”, di gran moda all’anteriore in quegli anni come il sistema antiaffondamento, viene vanificata da un interasse di 1.375 mm e da un’inclinazione del cannotto di sterzo di 26°. A proposito di sistema antiaffondamento: come la sua versione da competizione anche quello montato sulla RD 500 LC è inefficace, vista la sensibile escursione della forcella in staccata. Inoltre, complice la tendenza della moto a sedersi sul posteriore per via del monoammortizzatore Kayaba che è un po’ troppo morbido in tutto il suo “range” di regolazioni, la moto è vittima di un fastidioso beccheggio in accelerazione e frenata, con sensibili variazioni dell’avancorsa che non invogliano certo a trovare il limite della moto. Così come non aiutano nemmeno le gomme di primo equipaggiamento Yokohama F/R 101 (presto sostituite dalle Michelin A/M 48), in crisi di aderenza quando si cerca di osare qualcosa di più in curva e alle prese con un brusco decadimento del rendimento dopo poche migliaia di km percorsi.

Giù dal trono

Nonostante tutto la nuova Yamaha conquista un gran numero di sostenitori e anche nel 1985 si continua a vendere bene, complice l’abile campagna marketing della Casa dei Tre diapason che promuove la RD 500 LC utilizzando i suoi piloti ufficiali - Kenny Roberts prima ed Eddie Lawson poi - facendo continuamente leva sullo stretto legame fra il modello stradale e le competizioni, sfruttando ad arte il titolo iridato della classe 500 appena conquistato da Lawson. Ma il suo reale vantaggio è quello di aver inaugurato una nicchia di mercato che prima non esisteva e di non avere alcuna rivale con cui confrontarsi. Quando però nel 1986 compare all’orizzonte la Suzuki RG 500 Gamma - più leggera, potente, ma soprattutto veramente derivata dalle quattro cilindri in quadrato che avevano partecipato al Mondiale fino a pochi anni prima - il trono della RD vacilla pericolosamente e poi cede di schianto. Dopo due anni di convivenza sul mercato con la nuova arrivata (a cui si aggiunge anche la poco convincente Honda NS400F tre cilindri), la RD 500 LC abbandona il campo con le ossa rotte ed esce di produzione senza nemmeno tentare di reggere il passo, magari con una versione migliorata. A lei, pensionata dopo appena quattro anni, resta comunque il merito di essere stata la prima moto sportiva di successo nella storia della Yamaha e di aver riportato al centro dell’attenzione i motori a 2 tempi di elevate prestazioni, per un’effimera quanto inattesa ultima stagione di gloria.

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