di Gualtiero Repossi - 22 July 2018

Monza, 1973: l'incidente di Chionio, Colombini e Galtrucco

Nel 1973 cinque motociclisti perdono la vita al curvone del Circuito di Monza: a maggio Saarinen e Pasolini, a luglio Chionio, Colombini e Galtrucco. Storia e foto dell'incidente di luglio

Erano tre motociclisti di tutti i giorni verrebbe da dire. Diversi per estrazione sociale, professione e risultati ottenuti in pista, ma uniti dall’amore per le corse e le moto. Una passione che non era un lavoro, ma occupava il loro tempo libero, le domeniche e le fredde serate d’inverno. Chiusi in un box a preparare, o a vederlo fare, le moto che avrebbero poi usato in pista. Galtrucco, Chionio e Colombini erano tre Juniores impegnati anche nelle Derivate di Serie, un tipo di competizione che negli anni Settanta avevano in Italia grandissima popolarità, perché avevano ridato vita all’attività sportiva dopo l’oblio del decennio precedente, quando correre in moto significava mettere i semimanubri ad una 125 stradale a quattro tempi, prepararla in qualche maniera, caricarla sulla macchina di un amico disponibile ed andare a cercare fortuna nelle prove in salita o nelle selettive dell’italiano Juniores, spesso organizzate su improvvisati circuiti cittadini. Con l’arrivo delle maxi moto la musica era cambiata e prendendo in prestito il format delle gare Endurance erano state inventate le 500 Km, da disputarsi in coppia nei circuiti veri come Monza, Modena, Misano e Vallelunga - spesso negli stessi fine settimana del campionato Juniores - dove tutti potevano mettersi in mostra, dai piloti che avevano già assaggiato il Mondiale ai collaudatori delle Case, dai gentleman-riders ai veterani delle corse minori, per arrivare infine ai semplici appassionati alle prime armi e, appunto, agli Juniores. Renato Galtrucco era il più conosciuto dei tre. Milanese, 35 anni, sposato e papà di un bimbo ancora in fasce, apparteneva ad una conosciuta famiglia che nel capoluogo meneghino aveva numerose attività commerciali nel settore dei tessuti e dell’abbigliamento, con negozio di rappresentanza in piazza del Duomo.

Amante delle moto ma anche delle automobili inglesi, Galtrucco si muoveva con grande competenza fra i sostenitori dei prodotti britannici. Era stato lui alla fine degli anni Sessanta a convincere il concessionario milanese Bepi Koelliker - di cui era cliente - ad assumere la rappresentanza Triumph per l’Italia. Ed era stato sempre lui, assieme all’amico Vanni Blegi, a farsi promotore presso il Moto Club Milano della prima 500 Km di Monza nel 1970, la “gara delle gare” che inaugurò la stagione delle Derivate di Serie. Blegi e Galtrucco, dopo aver corso per un paio di stagioni con le invidiatissime Triumph Trident, veri prototipi schierati dal team di Bepi Koelliker, alla fine del 1972 si erano accasati presso la SAIAD di Torino, che all’epoca eral’importatore italiano della Suzuki. Con le tre cilindri GT 750 e Vallelunga nel 1973 puntavano alla vittoria nel Trofeo delle Derivate di Serie, che per decisione della FMI da quell’anno era riservato ai soli piloti con licenza Juniores. Le cose però non erano andate nel verso giusto perchè nella prima gara della stagione, la 500 Km di Modena disputata il 22 aprile, Galtrucco si era rotto una clavicola, cadendo al 46° giro mentre era in testa. Nel 1973 i due piloti milanesi si erano iscritti anche al Campionato italiano Juniores 500. Vendute le loro Aermacchi 408 maggiorate con “preparazione Marchesani” usate l’anno precedente, si erano procurati due delle ambite Honda CB500 Four che Pattoni in quegli anni allestiva per gli Juniores.

Carlo Chionio, 25 anni, milanese anche lui, studi al liceo Carducci e prossimo alla laurea in medicina, aveva debuttato in pista solo da qualche mese con una Honda CB500 Four che si era preparato da solo, ma le poche gare disputate lo avevano visto protagonista. Vincitore a Vallelunga della Coppa Cecere praticamente al debutto; poi in coppia con Eugenio Inglese - altro studente di medicina nonché tester della rivista Motociclismo - primo anche alla 500 Km di Modena, prova inaugurale del Trofeo delle Derivate di Serie per il 1973. A Monza Chionio aveva già corso il 3 giugno, disputando sul tracciato Junior la seconda prova del Campionato Juniores 500, che si correva direttamente su scala nazionale e senza le selettive riservate alle altre classi - terminando all’ottavo posto, doppiato di un giro - e aveva partecipato alla deposizione di una corona di fiori nel punto del Curvone in cui era avvenuto l’incidente di Saarinen e Pasolini.

Renzo Colombini aveva invece trent’anni, viveva a Livorno e nella vita faceva l’autotrasportatore. Correva fra gli Juniores da cinque stagioni, partecipando soprattutto alle gare nella sua Toscana e nel centro Italia. Renzo era tesserato per il Moto Club Livorno (Galtrucco e Chionio invece lo erano per il Moto Club Milano), come suo fratello Libero che correva in 125 e come il suo compaesano Pierluigi Conforti, iscritto assieme a lui alla 500 Km monzese con una Laverda SF. Nelle prime gare del 1973 Colombini, che l’anno precedente si era laureato Campione toscano Juniores della salita, aveva raccolto meno di quanto sperato con una Suzuki Titan 500 che stava imparando a conoscere.

Durante le prove l’atmosfera ai box non è rilassata, i fatti di maggio gettano un’ombra sinistra sul nuovo week-end di gare, ma nonostante tutto prevale la voglia di gettarsi alle spalle la tragedia - archiviata come una tragica fatalità - e vivere un fine settimana all’insegna dei motori. Dopo l’incidente del GP delle Nazioni il Curvone ovviamente è rimasto immutato. Il guard rail danneggiato durante la caduta collettiva è stato sistemato e ricoperto di balle di paglia e l’unico segno tangibile di quanto avvenuto è l’enorme scritta sull’asfalto lasciata dai tifosi proprio all’imbocco del Curvone: “Renzo e Jarno rimarrete sempre con noi.” Renato Galtrucco, assieme all’inseparabile Vanni Blegi, è in pole position nella 500 Km ed è indicato fra i favoriti per la vittoria, mentre in sella ad una Suzuki SAIAD 500 prestatagli all’ultimo momento si appresta a correre anche la gara degli Juniores alla quale sembrava destinato, dopo prove travagliate, a non partecipare. Infatti, se le pole della 500 Km è stata quasi una formalità, nell’Italiano Galtrucco ha dei problemi. Venerdì dopo aver distrutto la sua Honda-Paton in una caduta si rassegna a fare da spettatore. Invece Guido Mandracci della SAIAD gli propone di usare una delle sue nuove 500 preparate appositamente per gli Juniores, con telaio Titan e motore Daytona, da restituire al termine del week-end. Con la nuova moto Renato si qualifica senza problemi, ma poco prima del termine delle prove la Suzuki è vittima di un grippaggio. Ironia della sorte: se la SAIAD non gli avesse dato un motore di ricambio, Galtrucco domenica sarebbe rimasto ai box e avrebbe avuto salva la vita.

Anche Chionio al termine delle prove della 500 Km è dato fra i favoriti per la sua classe, dove ha qualificato la sua Honda, divisa questa volta con Marcucci, all’ottavo posto, mentre nella gara Juniores parte indietro con il terzultimo tempo. Per Colombini il week-end monzese non inizia nel migliore dei modi dato che non riesce a provare per la 500 Km ed è il solo Conforti a qualificare con l’ultimo tempo in griglia per la classe 750 la loro Laverda. Nelle prove dell’italiano Juniores invece le cose vanno meglio: Renzo riesce a piazzarsi a metà dello schieramento e probabilmente in cuor suo pensa ad un buon piazzamento. La sera prima della gara, in un ristorante fuori dal circuito, parla con Oscar Bonera - fratello di Gianfranco, il futuro pilota della MV Agusta nel Mondiale 500 che con la Titan aveva vinto il titolo italiano nel 1972 - chiedendogli quali rapporti usare sulla sua moto per affrontare il Curvone in pieno. Domenica la sveglia per gli Juniores suona presto, perché il via della procedura di partenza è fissato poco dopo le nove. Il tempo di mangiare qualcosa, dare un’ultima controllata alle moto, vestirsi e già l’altoparlante chiama l’allineamento. Galtrucco, ancora un poco assonnato, si ferma a fare colazione al bar dietro ai box, saluta gli amici e sale in sella alla sua Suzuki SAIAD. La partenza avviene senza problemi e il gruppo di ventinove piloti, tirato da Roberto Faccini (Suzuki) e Mauro Nonnoi (Yamaha), si sgrana lungo il tracciato. Poi durante il quarto giro, alle 9,30 in punto, quasi all’uscita del Curvone e nemmeno 200 metri dopo dal punto del tragico impatto di Saarinen e Pasolini, è di nuovo l’inferno. Improvvisamente la Suzuki di Colombini, che in quel momento occupa la dodicesima posizione, si intraversa e parte per la tangente andando a sbattere con violenza contro il guard-rail protetto dalle balle di paglia. Il pilota, sbalzato di sella, muore nell’impatto restando incastrato sotto le barriere. La sua moto invece rimbalza in pista nel mezzo del gruppo che insegue, incapace di abbozzare una reazione.

L’unico che la evita è Vittorio Altrocchi, che rialza la sua Aermacchi ma, com’era successo a Kanaya nell’incidente di maggio, non riesce a chiudere la traiettoria e finisce prima contro le balle di paglia e poi oltre le barriere, fra gli alberi. Dietro di lui Gaudenzio Protto e Galtrucco colpiscono la moto di Colombini in mezzo alla pista e cadono. Con loro finiscono distesi sull’asfalto anche Giuliano Barzanti e Chionio, la cui Honda colpisce in pieno il povero Galtrucco. La gara viene sospesa e la confusione è totale. Mentre arrivano le ambulanze sono alcuni spettatori che hanno scavalcato la recinzione a prestare i primi soccorsi ai piloti a terra. “Ero lì dove oggi c’è la prima variante- racconterà Oscar Bonera in un’intervista - Vidi i piloti sbalzati dalle moto, poi i corpi a terra. Mi lanciai in pista e raggiunsi Galtrucco; cercai a lungo di rianimarlo, ma senza risultato.” Per Colombini, come detto, non c’è nulla da fare. Galtrucco sembra respirare ancora ma muore sull’ambulanza che lo sta portando al centro medico del circuito. Le condizioni di Chionio invece consentono qualche debole speranza, ma un paio d’ore dopo si spegne anche lui in ospedale per un collasso cardiocircolatorio. Sul circuito di Monza cala il silenzio, l’ovattato e opprimente silenzio che segue ogni tragedia.

Ovviamente la 500 Km viene immediatamente annullata, mentre ai box ci si interroga su cosa possa essere successo di nuovo al Curvone. Per Saarinen e Pasolini si erano cercate le cause della caduta nel grippaggio dell’Harley-Davidson del Paso e nell’olio lasciato in pista dalla Benelli di Walter Villa nella gara della 350 che aveva preceduto quella della 250. Anche in questo caso, giusto un giro prima dell’incidente, la Honda-Paton di Vanni Blegi, l’inseparabile compagno di Galtrucco, si è fermata alle curve di Lesmo con il motore rotto. È stato l’olio della sua moto a condannare il suo amico assieme a Chionio e Colombini, come fa notare sulle pagine del settimanale Moto Sport il giornalista Claudio Porrozzi? Mentre gli addetti ai lavori cercano una spiegazione, la notizia della nuova tragedia monzese trova risalto sulle pagine della stampa, anche quella non specializzata. La polemica infuria e l’indice viene puntato sui gestori dell’autodromo, sui soccorsi giunti anche questa volta in ritardo e sul Moto Club Milano, che ha la colpa di aver voluto organizzare le gare di Monza. “Morti per niente a Monza”, titola il settimanale Epoca del 15 luglio 1973.

“Cinque morti in due corse. Non bastano? Quanti altri ancora ce ne vorranno perché qualcuno intervenga e metta fine al massacro e allo scandalo? Il 20 maggio morirono Saarinen e Pasolini, due fra i più abili professionisti al mondo. Domenica è stata la volta dei dilettanti. Nello stesso punto della curva, senza protezioni, senza una ambulanza a portata di mano, nella disorganizzazione, nel disordine, nell’incoscienza e nel disprezzo della vita di tre corridori. Galtrucco ha agonizzato sulla pista diciotto minuti prima che un’ambulanza arrivasse a portarlo via. Testimonianze, ricostruzioni, la storia della macchia d’olio sono dati senza importanza. Si sapeva che quella curva è mortale e che Monza non è più adatta alle corse di moto. Perché si corre? E chi dà il permesso? Sul buonsenso dei dirigenti sportivi non c’è da far conto. Mandano un camion che scarica qualche balla di paglia e se succede una nuova tragedia danno la colpa ai morti. Si direbbe che nulla li tocchi o li riguardi, al di fuori di cose che di colpo diventano assurde, come la classifica di campionato e lo sport che deve continuare. A Monza, dopo la tragedia di domenica scorsa, uno di loro ha detto, come riferisce un quotidiano sportivo: ‘C’è pronto un camion di balle di paglia per sostituire quelle che sono state danneggiate. Volendo, oggi si potrebbe ancora correre’. È possibile che nessuno si decida a fermarli, vietando per sempre Monza alle moto?”

La notizia della nuova tragedia monzese viene ripresa anche dalla stampa internazionale e finisce addirittura sulle pagine dell’autorevole New York Times, che il 9 luglio riporta il comunicato dell’agenzia di stampa UPI (United Press International). Oscar Baborski, responsabile della sezione sportiva del Moto Club Milano, nelle settimane seguenti scrive una lettera alla redazione di Motociclismo, cercando di smorzare i toni della polemica:

“Tutti noi, dico tutti noi motociclisti praticanti o solo appassionati, dobbiamo concretamente prodigarci per far si che il nostro amato mondo motociclistico non venga giudicato un ambiente di folli votati alla morte. I praticanti, comportandosi sulle strade con educazione, con rispetto verso il prossimo usando tanto buon senso, in modo da non scatenare le ire dell’opinione pubblica. E gli appassionati, i competenti, i responsabili, i dirigenti, gli organizzatori di manifestazioni sportive in genere, certi di aver fatto onestamente tutto il possibile e a volte anche l’impossibile per la buona riuscita delle stesse, non devono demoralizzarsi e desistere dal loro lavoro, sarebbe come ammettere delle colpe che non hanno, ma devono continuare.” Quelle “colpe che non hanno” nella lettera possono riguardare il Moto Club che ha organizzato l’evento ma non il circuito, diventato dopo le due tragedie, pericolosissimo per le gare in moto, a causa della mancanza degli spazi di fuga e per la presenza dei guard-rail indispensabili per le gare automobilistiche.

“Ancora una volta il micidiale guard-rail che ha provocato la tragedia è il grande accusato - si legge su Motociclismo nell’articolo dedicato alla scomparsa di Chionio, Colombini e Galtrucco - Non ci fosse stato, la moto di Colombini non sarebbe tornata in pista e la tragedia non sarebbe accaduta o almeno avrebbe assunto proporzioni ben minori. Ma senza guard-rail a Monza non si corre, d’altronde al Curvone arretrarlo non si può e anche se si potesse farlo il problema rimarrebbe insoluto per altre parti del circuito. Il guard-rail a Monza c’è da una decina di anni, durante i quali, va detto per la cronaca, sebbene le gare motociclistiche si siano susseguite regolarmente, nessun pilota ha perso la vita e al Curvone non è successo mai nulla. È andata bene solo per fortuna? Se così fosse, se la doppia sciagura avesse radici tecniche, allora vorrebbe dire che chi ha collaudato la pista ha commesso un grave errore tanti anni fa a dare il permesso ai motociclisti di correre.”

I due incidenti del 1973 spazzano via l’effimera illusione che al Curvone fosse impossibile cadere e morire e che per salvaguardare l’incolumità dei motociclisti bastasse comprare, a spese del Moto Club organizzatore della gara, un buon numero di balle di paglia in sostituzione degli spazi di fuga assenti. Ma a questa considerazione ci si poteva arrivare anche dopo la morte di Saarinen e Pasolini, impedendo di far correre ancora le moto a Monza causando la nuova tragedia. La concessione alla SIAS, l’ente che all’epoca gestiva l’autodromo di Monza, è valida fino al 1978, ma dopo quanto accaduto i Comuni di Milano e Monza minacciano di non rinnovare il contratto. Nel frattempo il tracciato lombardo perde l’omologazione per le moto, che vi ritorneranno solo all’inizio degli anni Ottanta dopo che verranno finalmente eseguiti dei lavori per ampliare le vie di fuga all’esterno delle curve abbattendo numerosi alberi. Purtroppo non sono solo le condizioni della pista ad essere inadeguate. In entrambi gli incidenti emerge il colpevole ritardo dei soccorsi. Probabilmente, vista la gravità delle lesioni riportate, anche un tempestivo intervento medico non avrebbe salvato le cinque vittime del Curvone, ma i diciotto minuti in attesa di un’ambulanza per Galtrucco indicati nell’articolo di Epoca non trovano giustificazione.

Per vedere i primi miglioramenti anche in questo aspetto della sicurezza nelle corse si dovranno attendere anni e l’intraprendenza del Dottor Costa, l’inventore della Clinica Mobile al seguito del Mondiale. Gran parte parte dei circuiti di oggi rispondono ad elevatissimi standard di sicurezza, mentre medici e rianimatori compiono autentici miracoli. Per avere un quadro quasi perfetto manca ora soltanto il buonsenso dei piloti. Che dovrebbero correre sempre con la testa sulle spalle. Pasolini e Saarinen, così come Chionio, Colombini e Galtrucco, nel 1973 sono morti senza commettere errori, vittime di un motociclismo assuefatto alla pericolosità e ai lutti quotidiani, dove il guasto meccanico era messo in preventivo fra le cause di incidenti e dove la colpa veniva subito scaricata sui piloti. Oggi le moto sono affidabili e non si muore più a causa di un motore inchiodato o per l’olio perso da un carter sfondato. Non lasciamo che si ripetano tragedie del genere solo perchè uno o più piloti decidono di correre con il cervello scollegato e riportiamoli nei canali della normalità, anche se si chiamano Marc Marquez.

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