Kawasaki GPz 900 R, la nuova frontiera

La Kawasaki GPz 900 R è stata la supersportiva che ha innescato l’escalation prestazionale dei decenni successivi. Ripercorriamo la storia di quella che è diventata una una moto “cult” tra gli appassionati
1/29 Kawasaki GPz 900 R (1983-2003): foto scattata durante la prova di Motociclismo del 1984 alla pista Pirelli di Vizzola Ticino (VA)
Dopo essersi affacciata al settore delle maximoto con le famose tre cilindri due tempi e aver ottenuto la definitiva consacrazione grazie alla straordinaria Z1 900 a 4 cilindri e 4 tempi, la Kawasaki chiude gli anni Settanta con la mastodontica Z 1300 a sei cilindri, che pur essendo una granturismo, con i suoi 125 CV stabilisce il nuovo record di potenza per una moto di serie. La Z1 del 1972 è sicuramente il modello più riuscito della Casa di Akashi nel decennio appena trascorso. Quello più equilibrato dal punto di vista ciclistico, ma soprattutto dotato di un eccellente quattro cilindri in linea bialbero che ha avuto una lunga carriera, segnata da numerosi aggiornamenti. Nel corso degli anni è progressivamente aumentato di cilindrata vedendo crescere di conseguenza le sue prestazioni e andando a equipaggiare numerosi altri modelli, ma rimanendo però sempre fedele all’architettura originale. Il culmine di questa evoluzione viene raggiunto con la GPz 1100 Uni-Trak, con il motore portato a 1.089 cc e dotato di iniezione elettronica, in grado di fornire addirittura 120 CV (stando ai dati forniti dalla Casa, perché in realtà ne ha 108 alla ruota).
Kawasaki GPz 900 R
Oltre questo limite però non si può più andare e già dal 1978 gli ingegneri del Reparto Ricerca e Sviluppo della Kawasaki si mettono al lavoro per trovare una valida alternativa. Proprio quell’anno la Honda ha iniziato la commercializzazione della serie Bol d’Or che presenta la novità della distribuzione bialbero, già sperimentata con successo sulle RCB da Endurance. La Kawasaki, che al bialbero è già arrivata nel 1972 con la Z1, decide invece di puntare su qualcosa di inedito nel settore delle maxi-sportive. L’ingegner Misao Yurikusa, responsabile della progettazione motori, propone inizialmente un quattro e un sei cilindri a V. Questa seconda soluzione viene però subito abbandonata perché porterebbe alla realizzazione di un propulsore di dimensioni imponenti, che oltretutto entrerebbe in conflitto con il progetto già in dirittura d’arrivo della Z 1300 (presentata nel 1979). Anche il quattro a V ha però vita breve e viene accantonato dopo i primi collaudi. Ma in questo caso il motivo va ricercato nell’eccessiva complicazione derivante da due distribuzioni separate - una per ogni bancata di cilindri - che questa soluzione obbligatoriamente richiede. Il problema però non risiede nella distribuzione: entrambi i progetti si discostano dal 4 cilindri della Z1 solo per l’architettura a V, ma conservano il raffreddamento ad aria e le due valvole per cilindro che sono un po’ il marchio di fabbrica dei motori nati negli anni Settanta. Per guardare al futuro, in un mercato che richiede mezzi sempre più potenti e veloci, bisogna trovare qualcosa di nuovo.
Kawasaki GPz 900 R
Yurikusa e i suoi uomini tornano allora sui loro passi, analizzano a fondo la vecchia GPz 1100 per valutarne pregi e difetti ed individuare le linee guida del nuovo progetto. La GPz è veloce, ma non digerisce i percorsi misti: con il suo vecchio telaio doppia culla, la sospensione posteriore a due ammortizzatori e il motore eccessivamente largo e pesante, non è affatto maneggevole. La nuova quattro cilindri dovrà invece essere agile, compatta e dotata di un motore capace di prestazioni da riferimento. Per questo motivo deve avere il raffreddamento a liquido e quattro valvole per cilindro. Viene realizzato un terzo prototipo, caratterizzato da un’inconsueta doppia catena di distribuzione: una sul lato sinistro del motore, che aziona l’albero a camme delle valvole di scarico e l’altra su quello destro, che comanda la camma delle valvole di aspirazione. Se è vero che questa scelta singolare consente di realizzare le ruote dentate delle camme molto piccole, è innegabile che si tratta di una complicazione meccanica, perché il guadagno in termini dimensionali è trascurabile. E dopo alcune prove si torna alla catena di distribuzione unica, questa volta posizionata sul lato sinistro del motore. Altra novità interessante è la presenza di un alberino controrotante posizionato davanti a quello motore - azionato dallo stesso ingranaggio a denti dritti della primaria - con il compito di ridurre le vibrazioni. Il generatore e il motorino di avviamento trovano invece posto dietro ai cilindri, per compattare ancora di più l’insieme.
Il motore della Kawasaki GPz 900 R
Con i primi due esemplari, realizzati in differenti cilindrate (908 e 1.023 cc), vengono allestiti dei prototipi, dotati di telaio doppia culla in tubi quadri d’alluminio. Questi vengono spediti in gran segreto negli USA per una serie di test con due collaudatori d’eccezione: Wes Cooley e Wayne Raney, all’inizio degli anni Ottanta piloti ufficiali Kawasaki nel Campionato AMA statunitense. Dopo aver girato a Loudon, Sears Point e Pocono, entrambi promuovono a pieni voti il nuovo motore, apprezzando le prestazioni di quello di maggior cubatura, ma auspicando al tempo stesso che la ciclistica che lo accompagnerà sia all’altezza delle prestazioni di cui è capace. Gli ingegneri della Kawasaki realizzano allora una struttura definita “a diamante”, con il trave superiore a traliccio che utilizza il motore come parte stressata, la culla inferiore completamente assente e il telaietto reggisella in alluminio imbullonato a due piastre laterali di rinforzo collocate nella zona del perno forcellone. Quest’ultimo è realizzato in tubi quadri di alluminio e dotato di sospensione posteriore monoammortizzatore tipo Uni-Trak, già vista sulla GPz 750 Turbo. La forcella Kayaba con steli da 38 mm adotta invece un sistema antiaffondamento, di gran moda in quegli anni sulle moto da GP e di conseguenza anche sulle sportive stradali. Quello della Kawasaki si chiama AVDS (acronimo di Automatic Variable Damping System) e aumenta l’effetto smorzante durante la fase di compressione in frenata. Con l’inclinazione del cannotto di sterzo fissata a 29°, gli ingegneri della Kawasaki adottano all’avantreno una ruota da 16 pollici per privilegiare una certa agilità dell’anteriore, ma anche per seguire un’altra moda imperante nei primi anni Ottanta, anch’essa mutuata dalle corse. Al posteriore invece troviamo una più tradizionale ruota da 18 pollici.
Il telaio della Kawasaki GPz 900 R
Foto dalla presentazione stampa di Laguna Seca nel 1983
Dopo aver terminato la ciclistica e definite in galleria del vento le parti di carrozzeria, si conclude così la gestazione della GPz 900 R, durata ben sei anni, gran parte dei quali spesi nella progettazione del propulsore. Nel settembre del 1983 la nuova Kawasaki viene presentata al Salone di Parigi, dividendo le luci della ribalta con la Yamaha RD 500 LC e destando immediatamente lo stupore sia degli addetti ai lavori sia degli appassionati. La linea della GPz 900 R non è completamente inedita, ma si ispira alle precedenti GPz 1100 Uni-Trak e GPz 750 Turbo da cui riprende soprattutto la forma del cupolino, attenuando invece l’andamento sinuoso del complesso serbatoio-sella-fianchetti. La moto è stata sottoposta a numerosi test in galleria del vento, dove ha ottenuto un sorprendente 0,33 di coefficiente di penetrazione nell’aria (Cx). La carena molto attillata lascia scoperto lateralmente il motore, che è poi l’elemento che cattura maggiormente l’attenzione degli appassionati, anticipando anche sotto questo aspetto la tendenza stilistica delle maxi sportive dei nostri giorni. Dopo la prima europea a Parigi e la replica al Salone di Milano un paio di mesi dopo, la Kawasaki organizza nel novembre del 1983 sulla pista di Laguna Seca una sontuosa presentazione dedicata esclusivamente alla stampa specializzata di tutto il mondo, anticipando una procedura oggi consueta per tutte le Case, ma che all’epoca era anch’essa una grossa novità. Diciotto GPz 900 R vengono messe a disposizione dei tester sull’impegnativo tracciato californiano, affiancate anche da alcune GPz 1100 Uni-Trak e GPz 750 Turbo, per far meglio comprendere il passo in avanti compiuto con il nuovo modello dalla Casa di Akashi. Che ovviamente, al termine dei due giorni di prove, riceve un coro unanime di consensi.
La GPz 900 R viene commercializzata in Italia nella primavera del 1984 a 9.698.200 lire, un prezzo assolutamente concorrenziale per il “pacchetto” tecnico offerto e addirittura inferiore a quello della GPz 1100 Uni-Trak (che costa 10.402.000 lire) e a quello di altri modelli di pari cilindrata supersportivi o presunti tali. La Yamaha FJ 1100, ad esempio, costa 10.815.000 lire, la BMW K 100 RS 11.590.000 lire e la gloriosa ma vetusta Laverda RGS 9.258.000 lire. Meno della GPz 900 R ci sono invece la Honda CB1100F (8.620.000 lire) e la Suzuki GSX 1100 S Katana (8.957.500 lire), ma si tratta di modelli ormai a fine carriera e concettualmente superati. Ovviamente i 1.500 esemplari importati in Italia vanno subito esauriti e analoga sorte hanno le altre 1.500 unità che arrivano nel nostro Paese nel 1985, quando anche altre Case giapponesi stanno per scendere in campo nel settore delle maxi-supersportive (la Suzuki con la GSX-R 750 e la Yamaha con la FZ 750 ad esempio) che sta per diventare uno dei più importanti del mercato. La Kawasaki, forse spaventata dai progetti della concorrenza, decide di giocare d’anticipo presentando nel 1986 la GPZ 1000 RX e facendo un clamoroso autogol. La nuova arrivata dovrebbe essere la naturale evoluzione della GPz 900 R (il suo motore deriva infatti dal 4 cilindri di 908 cc) ma - si scoprirà in seguito - è penalizzata da un’estetica discutibile e da un comportamento dinamico nettamente inferiore al precedente modello. Forse perché il superbo 4 cilindri bialbero si accorda perfettamente con il telaio a “diamante” della 900 R, ma non gradisce affatto essere imbrigliato da un convenzionale doppia culla come quello del nuovo modello. Nonostante questo, il colosso di Akashi decide lo stesso di imporre ai suoi importatori la scelta della 1000 RX ai danni della 900 R e la Kawasaki Italia si piega alla volontà della Casa giapponese, cosa che invece non fanno le filiali di Francia, Germania e Inghilterra. Il risultato è che nel 1986 l’importatore italiano si trova con il magazzino pieno di GPz 1000 RX invendute, a fronte di numerose richieste dei suoi concessionari per la GPz 900 R che invece non è più disponibile. Non solo, dopo poche stagioni la GPz 1000 RX esce di scena dimenticata da tutti, mentre la GPz 900 R continua a rimanere in produzione con minimi aggiornamenti fino al 2003, oltrepassando la soglia dei 200.000 esemplari costruiti. Vien da pensare, con il senno di poi e considerando i sei anni della sua lunga gestazione, che questo modello sia stato per la Kawasaki una enorme occasione commerciale perduta...
Kawasaki GPz 900 R
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