a cura della redazione - 03 March 2019

Moto Guzzi V 50: storia, versioni, caratteristiche

La 500 è il modello più equilibrato della “serie piccola” dei bicilindrici che la Moto Guzzi costruì tra la fine degli anni Settanta e la metà del decennio successivo, capostipite della famiglia, perché la prima ad essere progettata, e da cui poi deriveranno le versioni di minore e maggiore cilindrata

Sobria, sicura ed amichevole. Queste le prerogative che ad un sommario esame vengono in mente tornando agli anni in cui la Moto Guzzi V 50 era una presenza diffusa sulle nostre strade. Una moto “intelligente”, come la definì Motociclismo al suo apparire, impressione confermata poi dalla completa prova su strada. Restò in produzione per oltre otto anni, dal 1977 al 1985, raccogliendo un buon successo di vendite, e creandosi la fama di motocicletta robusta ed economica, facile da guidare e da tenere a punto, versatile in città e nel turismo, anche a lungo raggio. Dopo la prima versione, base o turismo (in effetti un nome vero e proprio, oltre a V 50, la Guzzi non lo diede mai a questo modello), arrivarono interpretazioni sportive, la V 50 Monza, e Custom, la V 50 C. E poi le versioni per Polizia, Carabinieri, Esercito e dipendenze comunali. Insomma una Moto Guzzi fedele al suo nome ed alla sua tradizione, innovativa, personale e... molto “umana” anche nei suoi difetti. Perché difetti, va detto subito, la V 50 ne conobbe più d’uno, e mai, purtroppo, seriamente risolti. La V 50 del 1977 è la prima, quella che fa conoscere e apprezzare il modello. Segue la V 50 II, resa più elegante e con alcune migliorie tecniche, secondo noi la migliore da un punto di vista qualitativo. Infine la V 50 III, esteticamente la più bella, ma anche quella che più delle altre due soffrì le economie di produzione introdotte nei primi anni Ottanta, e che ne fecero scadere un poco la qualità. Addentriamoci quindi nella storia di questo modello.

Verso la metà degli anni Settanta, la Moto Guzzi ha superato il periodo più difficile della sua già lunga vita. Le grosse bicilindriche a V ottengono un successo mondiale grazie alle prerogative di robustezza, potenza e personalità. Da 850 o da 1000, le due cilindri lariane accontentano sia il turista che lo sportivo, e la individualità tecnica del loro motore rende queste moto una scelta particolare, ben delineata rispetto a chi, invece, si orienta sulle quattro cilindri giapponesi, macchine già perfette, ma tutte piuttosto simili tra loro. Se tuttavia la Moto Guzzi non teme confronti nel segmento delle grosse cilindrate, la sua presenza è francamente sotto tono quando si cerchi qualcosa di più leggero e meno impegnativo, sia come costi che come prerogative. Parliamo chiaramente delle medie cilindrate, che in Italia, alla metà degli anni Settanta, costituiscono una ricca fetta di mercato, come ben sanno la Moto Morini, che ottiene un buon successo con la splendida 3 ½, la Honda, con l’affascinante CB400 SS quattro cilindri, la Suzuki e la Kawasaki, con le grintose 380 e 400 tricilindriche a due tempi, ed in tono... minore, la Ducati, con la GTL, e la Laverda con la 500 bicilindrica. La Moto Guzzi ha invece “ereditato” dalla Benelli una quattro cilindri di 350 cc, rapidamente salita a 400 (quando guadagna anche il freno a disco anteriore), la GTS, che porta più critiche che meriti alla Casa di Mandello. Prima di tutto perché, è storia nota, è un clone... mal riuscito delle analoghe Honda CB350/500 Four, e poi perché a conti fatti è una Benelli, costruita a Pesaro, marcata Moto Guzzi, e consegnata ai concessionari della Casa dell’Aquila col non facile compito di venderla (tra l’altro a caro prezzo). Comunque la si guardi, un prodotto non all’altezza del nome e della tradizione della più importante e storica Casa motociclistica italiana. Ma le quattro cilindri “ibride” 350/400 non sono in realtà, per la Moto Guzzi, che modelli di transizione, in attesa che dia i suoi frutti un progetto “seminato” ancora nel 1972.

Chi ha avuto la fortuna di visitare il museo della Moto Guzzi a Mandello (foto qui sopra), non avrà potuto far a meno di notare una strana motocicletta, in realtà un prototipo, che da lontano può essere scambiata per una V7 Sport, tanto sono di questa il colore verde chiaro metallizzato, la lunga sella ed il manubrio basso. Guardando bene però ci si accorge che il motore non è il poderoso 750 della V7 Sport, ma, pur conservandone lo schema, ha i due cilindri notevolmente più piccoli, ed il motore è unito al gruppo trasmissione (questo lo stesso della V7 Sport), tramite una flangia, evidentemente provvisoria. Questo prototipo di 500 cc, costruito appunto nel 1972, rappresenta il “germe” della futura V 50, e delle sue derivate, e testimonia come alla Moto Guzzi l’esigenza di entrare nel segmento delle medie cilindrate con un prodotto che ne seguisse la filosofia ed il carattere era ben radicato nella mente dei progettisti, Lino Tonti col fedelissimo Umberto Todero. Nel 1976 i primi prototipi della definitiva V 50 vengono fotografati sulle strade intorno a Mandello da Motociclismo. Dalle foto si nota che telaio e motore sono già praticamente quelli che entreranno in produzione, mentre il serbatoio, in attesa che i designer giungano a deliberare la linea definitiva, è preso da una 850 T, la sella e i fianchetti provengono invece da una 350/400 GTS.

Sul numero di Motociclismo di ottobre del 1976, ecco poi la presentazione tecnico-estetica delle nuove moto, a seguito della conferenza stampa tenuta da De Tomaso. “Verrà costruita anche dall’Innocenti la nuova Moto Guzzi 350-500 bicilindrica”, questo il titolo del pezzo da cui si ricavano importanti notizie ed immagini che svelano del tutto le imminenti medie di Mandello. Per quei pochi che non lo sapessero, l’Innocenti entra nella storia della Moto Guzzi grazie (... o per colpa, a seconda dei pareri), di Alejandro de Tomaso, che gradualmente nei primi anni Settanta diventa il padrone assoluto di un gruppo auto-motociclistico che comprende, in aggiunta alla Moto Guzzi, anche la Benelli/MotoBi, l’Innocenti, la Maserati, la De Tomaso Automobili e la Carrozzeria Ghia, oltre a nomi minori anche della nautica. Concentrandosi però sulla V 50, veniamo a scoprirne i segreti leggendo il pezzo a firma Carlo Perelli.

“Durante la presentazione alla stampa italiana, Alejandro de Tomaso ha precisato che nel 1977 la Moto Guzzi dovrebbe costruire 10-12.000 unità di questa nuova moto (V 35 e V 50), mentre l’anno successivo l’Innocenti dovrebbe arrivare a 70.000 pezzi. Fedeli alle tradizioni della Casa, le nuove V 50 si presentano con una spiccata personalità tecnico-estetica. Contenute le dimensioni d’ingombro (passo 1,40 m), il peso (circa 152 kg), e il consumo (24 km/l). Forcella e ruote in lega leggera sono di produzione Moto Guzzi. Naturalmente il sistema frenante è quello integrale. Velocità circa 170 km/h. Per facilitare la produzione, molte parti in lega leggera sono state disegnate in modo da non richiedere lavorazioni dopo la pressofusione. Il motore ultraquadrato (74x57 mm) è stato disegnato ex-novo anche per contenerne il dimensionamento e facilitarne la produzione. Esso conserva la classica impostazione dei bicilindrici a V di Mandello, ma ha il carter tagliato orizzontalmente, l’accensione elettronica, le valvole parallele e le teste piatte con le camere di scoppio ricavate nel pistone. Quest’ultima soluzione è stata scelta non solo per motivi di rendimento termodinamico e di resistenza alle sollecitazioni, ma anche per ridurre i tassi d’inquinamento e l’ingombro trasversale, che risulta infatti di soli 40 cm. Compressione 10,8, potenza 45 CV a 7.500 giri, carburatori Dell’Orto da 24 mm, capacità coppa dell’olio 2,25 litri. Per facilitare gli innesti del cambio a 5 marce c’è una riduzione primaria ad ingranaggi elicoidali di 1,75 tra motore e cambio stesso. Il telaio con la culla apribile ed il forcellone infulcrato sul propulsore, facilitano enormemente la separazione tra il telaio stesso ed il gruppo motorecambio-trasmissione-ruota. Le gomme sono da 3,00-18 e 3,50-18. L’elemento più interessante del retrotreno è il forcellone in lega leggera infulcrato sul coperchio della scatola del cambio, soluzione che aumenta la resistenza alle sollecitazioni trasversali e facilita lo smontaggio del propulsore. Molto pratica anche la sistemazione della pinza sulla scatola della coppia conica: viene così agevolato lo smontaggio della ruota dotata di un generoso parastrappi. Un altro parastrappi è contenuto nel monodisco della frizione a secco”.

Dopo la presentazione alla stampa, le nuove bicilindriche debuttano in pubblico pochi giorni dopo, al Salone di Colonia in Germania. Le vendite iniziano nei primi mesi del 1977 e, soprattutto la V 35, grazie al prezzo più favorevole, ottiene un ottimo riscontro. In effetti il progetto di Lino Tonti è partito con la classica cilindrata di 500 cc, e solo in un secondo momento si è pensato alla 350, derivata in tutto dalla prima riducendo alesaggio e corsa. Ciò le giova in fatto di robustezza, ma le prestazioni e la messa a punto resteranno sempre un po’ imperfette, soprattutto quando confrontate alla sua più diretta concorrente, la Moto Morini 3 ½. La V 50 invece ha un ottimo rendimento se si pensa che il motore è estremamente semplice, anche per quei tempi. Il raffreddamento ad aria e le teste piatte con le camere di scoppio ricavate nei pistoni sono scelte che favoriscono l’economia costruttiva, e quindi il prezzo di vendita, nonché la riduzione dei consumi, ma non sono certo volte ad ottenere esaltanti prestazioni. La distribuzione non prevede raffinati alberi a camme in testa, ma un unico “tranquillo” albero a camme nel “V” dei cilindri, come d’altronde sulle 850/1000, che aziona le due valvole parallele per cilindro, altra concezione mirata alla semplicità costruttiva e di manutenzione, tramite aste e bilancieri. Ciò non toglie comunque l’interesse del mercato verso queste moto, che puntano molto, oltre che sull’economia in generale, sulla praticità e sulla sicurezza. La trasmissione cardanica è infatti priva di manutenzione, a parte naturalmente la sostituzione dell’olio a lunghi intervalli, mentre con il sistema frenante integrale la V 50 raggiunge una capacità frenante decisamente superiore a quella di qualsiasi altra moto. A proposito della frenatura integrale, costituita da tre dischi in acciaio lavorati da tre pinze Brembo, e dove, come si sa, premendo il pedale entrano in azione simultanea e bilanciata un disco anteriore e il disco posteriore, c’è un aneddoto interessante. Lino Tonti infatti concepì il sistema dopo essere rimasto vittima di un incidente nel quale era rovinosamente caduto in seguito al bloccaggio della ruota anteriore della sua moto. Probabilmente ispirandosi all’automobile, dove premendo il pedale si frenano contemporaneamente le quattro ruote, Tonti ebbe l’intuizione di collegare i freni delle due ruote della moto. Un’idea non del tutto nuova, a dir la verità, se è vero che la Moto Guzzi la adottava già su alcuni modelli degli anni Venti!

Ad ogni modo, introducendo un ripartitore, Tonti perfezionò il sistema distribuendo la potenza frenante per il 70% al disco anteriore sinistro, e per il restante 30% al posteriore, impedendo di fatto il pericoloso bloccaggio della ruota anteriore. Il secondo disco anteriore (destro) svolge una funzione di ausilio nelle frenate più difficili, e non porta comunque al bloccaggio della ruota anteriore. Come è stato negli anni passati per l’ABS, anche il sistema della frenata integrale venne a lungo dibattuto, affermando che un buon motociclista è in grado di frenare meglio senza l’integrale. È però fuori discussione che, sia per inesperienza, sia per situazioni limite, sia per condizioni della strada particolarmente difficili, l’integrale delle V 35/V 50, sebbene semplificato per l’assenza del ripartitore di frenata presente solo sulle grosse, aggiungeva sicurezza alla frenata, con un fattore che le altre moto non potevano allora vantare. Messa in vendita a 2.349.000 lire (500.000 lire in più rispetto alla V 35 a causa dell’IVA del 35% sulle cilindrate oltre 350 cc contro quella del 18% per queste ultime), la V 50 si rivela una moto ben studiata e di soddisfacenti prestazioni, pur nei limiti di un mezzo che non è nato per “bruciare” semafori, né per elevate medie autostradali. Anche le dimensioni non sono esuberanti, e se ciò consente di contenere il peso nell’ottimo valore di 170 kg reali (anche se la Moto Guzzi si ostinerà a dichiarare 152 kg...), non favorisce però l’abitabilità per due persone. La sua robustezza, economia nei consumi, facilità di guida e di manutenzione, possibilità di costruirla in migliaia di esemplari anche grazie al grande impianto della Innocenti di Lambrate, fanno sì che già dall’esordio la Moto Guzzi metta in produzione un modello studiato per Polizia Stradale e Carabinieri, quando per ragioni di servizio non siano richieste le superiori prestazioni della 850 T/T3 già fornita. La V 50 prima serie è una moto sobria, ma non affrettata nei dettagli: non manca di cromature nei punti strategici, e non è priva di un attento esame stilistico. Lo confermano ad esempio il dorso del serbatoio in nero opaco, che stacca decisamente dal resto della carrozzeria, offerta nel solo... “rosso Benelli”. Oppure la pompa del freno a disco anteriore, celata allo sguardo sotto la struttura in plastica nera, per la verità un po’ posticcia, che fa anche da tappo del serbatoio, ed i convogliatori di aria visibili sotto al serbatoio davanti ai cilindri, con lo scopo di migliorare il raffreddamento delle teste. O ancora il fanale posteriore, con due lampadine a doppio filamento (stop e posizione), così da non diventare invisibili di notte in caso se ne bruciasse una, e ancora il nitido disegno delle ruote pressofuse in alluminio. E poi due cavalletti, il laterale ed il centrale, comodissimo per la manutenzione, un cruscotto completo delle spie e degli strumenti necessari, e i comandi elettrici, un po’ vistosi e... “plasticosi”, ma intuitivi.

Nel 1979 arriva la V 50 II che incorpora alcuni miglioramenti al motore rispetto alla prima serie. I cilindri, con le canne cromate sulla V 50, ora ricevono un trattamento di indurimento superficiale al Nikasil, uno strato in nickel-silicio capace di assicurare minor usura e maggior resistenza. I collettori tra carburatori e cilindri sono lucidati e rifiniti, migliorando la respirazione e il nutrimento del motore. Infine la coppa dell’olio viene ingrandita di 1 cm, assicurando miglior raffreddamento e meno pressione al lubrificante, che non aumenta per questo di quantità. Le prestazioni ringraziano, e la V 50 II diventa più sciolta e un poco più briosa rispetto alla prima serie. Restano purtroppo alcuni piccoli difetti già segnalati sulla prima serie, e che si dovevano eliminare. Il tappo, con la fatiscente struttura in plastica dotata di serratura, lascia trafilare benzina col pieno, con gli sgradevoli effetti che ne derivano, le sospensioni sono sempre sotto-tono, inficiando sia la stabilità della moto, quanto il comfort di pilota e passeggero, e lo stesso dicasi per la sella. Le vendite si mantengono comunque su buoni livelli. A due anni di distanza dalla seconda serie la Moto Guzzi rilancia sul tema V 50 presentando la terza serie. Rispetto alle precedenti sono cambiati il parafango anteriore, la sella ed il serbatoio, che però non sono inediti, ma gli stessi già in uso sulla V 35 II uscita nel 1980. Certo l’estetica è ora più gradevole, confortata anche dalle tre colorazioni disponibili, argento e marrone metallizzati, e rosso, tutti con strisce decorative. Il montaggio del serbatoio della V 35 II si spiega anche con lo spostamento del serbatoio dell’olio del freno a disco anteriore sul manubrio, nella classica posizione a fianco della manopola destra, anziché nascosto dietro al cannotto di sterzo. Il coperchio in plastica che lo ricopriva, e che fungeva anche da tappo della benzina, spesso criticato per la scarsa tenuta e funzionalità, può quindi essere eliminato in favore dello sportellino metallico con serratura che protegge un tappo della benzina finalmente efficiente. Il disegno differente della sella la rende più slanciata, con la porzione del passeggero rialzata, ma non per questo è più comoda rispetto alla precedente. Anche il parafango posteriore è nuovo nel design: ora incorpora in un guscio di plastica verniciato il fanale posteriore, per altro lo stesso dei modelli precedenti e di tutte le Moto Guzzi-Benelli del momento. Il cruscotto, con grafica ancora rinnovata e spie più grandi, è montato più alto e inclinato.

Piccoli ritocchi estetici si notano a livello degli indicatori di direzione, quadrati anziché tondi, con il supporto degli anteriori che incorpora sia gli attacchi del faro sia una piccola mascherina col logo Moto Guzzi, e per le marmitte, che hanno maggior inclinazione verso l’alto. Eliminate le grigliette in plastica nera sotto al serbatoio in funzione di convogliatori dell’aria sulle teste. Dal punto di vista tecnico, la V 50 III ha diverse novità. Iniziando dal motore, che va detto subito, è quello montato sulla sportiva V 50 Monza già in vendita da alcuni mesi. I cilindri hanno il nuovo trattamento in Nigusil (nickel-Guzzi-silicio), un brevetto della Moto Guzzi che assicura ancor più scorrevolezza e durata rispetto al Nikasil della V 50 II. Il cilindro ha inoltre un passaggio dell’olio supplementare che garantisce migliore lubrificazione e raffreddamento, ed una nuova guarnizione della testa. A sua volta quest’ultima è stata rivista nella distribuzione montando valvole di maggior diametro (da 32 a 34 mm per l’aspirazione e da 27 a 30 mm per lo scarico). Ciò ha consentito l’adozione di carburatori da 28 mm in luogo di quelli da 24, sempre Dell’Orto, ma nel nuovo migliorato modello PHBH, anziché l’ormai sorpassato VHB. La catena che comanda l’albero a camme, trasferendo il moto dall’albero motore, è duplex (prima simplex) ed anche i relativi ingranaggi hanno la doppia dentatura, col tendicatena automatico dalla pista naturalmente più larga. Infine l’accensione, finora elettronica, passa alla convenzionale a doppia coppia di contatti platinati. La modifica, giustificata con la spiegazione da parte della Casa di miglior resa ai bassi regimi e maggior semplicità ed economia di messa a punto, sa invece di escamotage alla ricerca di contenimento dei costi costruttivi. Anche a livello ciclistico la V50 III riceve interventi di nota. Sia la forcella (realizzata in casa), che gli ammortizzatori (Paioli), oltre alla solita componente meccanica ed idraulica, hanno ora anche quella pneumatica, con la valvolina di regolazione della pressione sulla testa dello stelo ed alla base dell’ammortizzatore. Se la V50 III appare più brillante e accattivante rispetto alle versioni già viste, purtroppo lo scadimento qualitativo che interessa non solo la V 50, ma l’intera produzione Moto Guzzi all’inizio degli anni Ottanta, vanifica in parte gli sforzi messi in atto per offrire un prodotto più valido e rispondente alle critiche ed ai problemi noti del modello. Vediamone i principali.

Le verniciature sono di qualità scadente, con il nero delle leve di freno e frizione che presto sparisce lasciando in vista il colore del metallo, mentre la vernice della carrozzeria, come già sulle versioni passate, tende ad opacizzarsi col sole e, sul serbatoio, nelle zone di contatto con le ginocchia del pilota. Quella del forcellone, forse a causa di lavaggi troppo energici, si sbiadisce, passando dal grigio alluminio al biancastro. La gomma dei manicotti che collegano i collettori fissati ai cilindri con i carburatori si crepa alterando la carburazione. I carburatori stessi si macchiano con aloni di benzina e non sono immuni da sgocciolamenti di carburante che finisce sul carter sporcandolo. Le guarnizioni tra testa e cilindro presentano trafilaggi d’olio che sporcano le alette dei cilindri, e/o tra la base dei cilindri ed il carter. Gli ammortizzatori non migliorano affatto il comfort di marcia, e lo stesso la forcella. Anzi, meno si interviene sulla taratura della pressione dell’aria e meglio è. I dischi dei freni, realizzati alla Innocenti, tendono ad un repentino arrugginimento con le pastiglie che si incollano ai dischi se la moto non viene utilizzata per medi periodi. Insomma, anche la V50 III, che avrebbe senz’altro potuto rappresentare il definitivo sviluppo di una moto nata bene e sempre onesta nel rapporto tra costi e... benefici, per certi aspetti non si eleva che di poco sulle serie precedenti, mentre per altri è un peggioramento. D’altronde la V 50 è avviata a chiudere la carriera: la nuova V 65, presentata nel tardo 1981, e che incorporerà tutti i pregi ed i difetti della V 50, è pronta a sostituirla progressivamente.

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