Il 1970 è un anno di attesa perchè nel ‘71 arriverà una Bonneville completamente nuova, a partire dal telaio “oil in frame” con il lubrificante all'interno dei tubi, passando attraverso l’impianto frenante a mozzi conici, per arrivare alla linea del serbatoio squadrata. Proprio il modello presentato all’inizio del ’69 introduce parecchie novità rispetto ai precedenti. Ci sono infatti la spia della pressione dell’olio sul dorso del faro, l’interruttore dello stop anche per il freno anteriore il quale, pur rimanendo uguale a quello dell’anno precedente, monta ora un differente sistema di azionamento delle camme in cui il cavo lavora più liberamente grazie al percorso più rettilineo. Diverso invece il piatto cromato sulla sinistra che perde le feritoie del modello del 1968. I due collettori di scarico sono uniti da un tubo di compensazione poco dopo l’uscita dalla testata per permettere un migliore bilanciamento dei gas esausti verso i silenziatori. Il reparto delle sospensioni è rivisto, con nuovi ammortizzatori idraulici più efficienti nella forcella e ammortizzatori posteriori a molle cromate e scoperte, anziché imbussolate come in precedenza. Pure nuove le misure dei pneumatici che passano da 3.00 (o 3,25)-18 a 3.25-19 l’anteriore, e da 3.50-18 a 4.00-18 il posteriore. La moto è inoltre accessoriata con una coppia di trombe accordate che sostituiscono il classico clacson montato finora e con manopole in gomma al posto di quelle dalla forma a “botticelle” usate in precedenza. Queste in sintesi le modifiche principali ed alle quali si mantiene fedele anche il modello costruito nel 1970. Poi l’inevitabile declino le cui cause si possono riassumere, oltre che nella comparsa nel 1969 della fenomenale
Honda CB750 Four, la moto che secondo gli inglesi “
nessuno avrà mai il coraggio di costruire in serie”, soprattutto nell’immobilismo tecnico dovuto all'incompetenza della classe dirigente di Triumph: nella presunzione della loro quanto obsoleta imbattibilità tecnica continuavano a sperperare denaro in progetti assurdi, anzichè modernizzare macchine ed impianti produttivi. La Bonneville, insomma, resta vittima di se stessa perché non riesce a proporsi, se non come valida concorrente alla moto giapponese, almeno come mezzo alternativo pure alla produzione italiana, di caratteristiche profondamente diverse ed indirizzato ad una certa clientela che ancora, negli anni 70, ne apprezza la filosofia. Il riscatto è comunque avvenuto con la rivalutazione delle moto classiche perché oggi una Bonnie di quegli anni vale assai di più di una giapponese dello stesso periodo, pur con tutte le sue “magagne”. È quindi un ottimo investimento, in più queste moto, se curate e preparate da mani esperte, possono dimostrarsi valide anche ben oltre la gita al solito raduno, ma diventare compagne di spostamenti giornalieri e di vacanze, sicuri di potersi gustare quel sottile fascino e privilegio che sta nella guida di una moto d’epoca quando, però, sono ben messe a punto.