31 May 2023

Honda CBX 1000: la grande compagna di strada

Con questo slogan la Honda nel 1979 presenta in Italia la splendida CBX1000 sei cilindri. Nata con velleità sportive e per ribadire la supremazia tecnica della Casa giapponese nel mercato motociclistico di quegli anni, la CBX trova la sua dimensione ideale come maxi-tourer veloce. Prodotta in due versioni, per cinque anni e in oltre 41.000 esemplari, dal 1981 viene dotata dell’esclusiva sospensione posteriore monoammortizzatore Pro-Link

Shoichiro Irimajiri. Basta questo nome per richiamare alla mente alcuni dei più affascinanti e controversi modelli da corsa mai creati in casa Honda. Nato nel 1941 e laureatosi in ingegneria aeronautica nel 1963 presso l’università di Tokyo, viene immediatamente assunto al reparto Ricerca e sviluppo della Casa dell’Ala dorata ed aggregato al progetto sportivo RC, che negli anni Sessanta ha visto impegnata la Honda in tutte e cinque le categorie del Motomondiale. Irimajiri si concentra in particolare sulla piccola RC115, bicilindrica a 8 valvole di 50 cc, sulla RC147 a cinque cilindri di 125 cc e sulla RC165 sei cilindri 250. Dopo il ritiro dalle competizioni motociclistiche della Honda al termine del 1967, viene spostato temporaneamente nello staff tecnico che si occupa dello sviluppo delle vetture di F1. E dopo la sospensione dell’attività sportiva anche nella massima formula automobilistica Irimajiri viene nuovamente ricollocato presso il dipartimento che si occupa di ottimizzare la produzione dei veicoli commerciali a quattro ruote. I suoi trascorsi motociclistici non vengono comunque dimenticati e negli anni Settanta diventa Project Leader di tre ambiziosi progetti che riguardano modelli stradali e da competizione: la GL1000 Gold Wing, la CBX1000 e la NR500 da GP. A parte la controversa e fallimentare NR a pistoni ovali, le due moto stradali curate da Irimajiri sono delle pietre miliari per la Honda. La GL1000 Gold Wing è la capostipite di una famiglia di maxi tourer ancora oggi in produzione, mentre la CBX1000 sei cilindri fa invece parte di un trittico irripetibile nella storia del motociclismo, che comprende anche la Benelli 750/900 Sei e la Kawasaki Z 1300, ovvero le uniche motociclette stradali a sei cilindri mai entrate in produzione.

Il fascino del 6 cilindri

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Quando nel 1976 la Honda inizia a pensare ad una plurifrazionata in grado di ribadire la supremazia tecnologica della Casa nel settore delle maxi moto stradali, il tema del sei cilindri non è una novità assoluta. È già stato affrontato fin dal 1972 dalla Benelli, che dopo aver presentato la sua 750 Sei ne ha avviato la produzione due anni dopo. Certo, a favore della Honda gioca il richiamo ai fasti sportivi degli anni Sessanta, con i titoli mondiali conquistati da Hailwood e la sei cilindri in 250 e 350, ma da quei giorni sono passati quasi dieci anni e il loro ricordo è ormai sbiadito agli occhi degli appassionati. Si potrebbe giocare la carta della sofisticazione tecnica, magari puntando sul raffreddamento a liquido per differenziare il sei cilindri giapponese da quello italiano. Ma Soichiro Honda è un sostenitore dei motori raffreddati ad aria, più semplici da costruire e più belli da vedere. Quindi anche quest’opzione cade nel vuoto - nonostante la Honda abbia appena messo in vendita la GL1000 Gold Wing e stia lavorando alla CX500 entrambe con motori raffreddati ad acqua - venendo raccolta invece dalla Kawasaki sulla sua Z 1300 sei cilindri. Non solo, quando il progetto CBX inizia a prendere corpo, all’interno della stessa Honda non mancano le perplessità e la scelta del motore sei cilindri non è una priorità assoluta. Anche perchè in quegli anni è appena stato bocciato per i suoi elevati costi di realizzazioni il prototipo della prima Gold Wing, che montava un sei cilindri boxer raffreddato a liquido. A causa di queste indecisioni il team guidato da Irimajiri sviluppa contemporaneamente alla CBX una 4 cilindri sempre di 1.000 cc, derivata dalla RCB1000 impegnata nelle gare di Endurance. Le prove in pista sanciscono la superiorità dinamica di quest’ultima, ma il suono dello scarico, la capacità del motore di raggiungere regimi per l’epoca elevatissimi senza vibrazioni e la sensazione di accelerazione che si provava alla guida, generano un cocktail di emozioni che alla fine fa pendere l’ago della bilancia a favore della sei cilindri, nonostante i grossi problemi da superare. Non ultimo quello del contenimento del peso, che nei primi prototipi supera abbondantemente i 250 kg. La presentazione della CBX1000 in configurazione definitiva avviene nel gennaio del 1978, sei anni dopo la Benelli 750 Sei e appena otto mesi prima della Kawasaki Z 1300 che però ha avuto una gestazione lunghissima dato che i primi disegni della sei cilindri di Akashi risalgono addirittura al 1973.

Presentata a Vallelunga

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Nella presentazione dinamica alla stampa italiana sull’autodromo di Vallelunga il tester di Motociclismo mette alla prova le capacità di piega della CBX1000

Ma torniamo alla CBX1000 e al suo arrivo sul mercato italiano, avvenuto nel 1979 dopo una presentazione dinamica sull’autodromo di Vallelunga. La linea della nuova moto è moderna e le sue finiture ai massimi livelli. La strumentazione completissima e gradevole nella grafica così come il manubrio in due pezzi di alluminio ricavati per fusione fanno immediatamente percepire al pilota la qualità ed il prestigio del mezzo. A fare la parte del leone, ovviamente, è il propulsore, che vanta soluzioni riprese direttamente dai motori da competizione, ma tutta la moto presenta quanto di meglio può offrire la tecnologia dell’epoca. Il telaio ha struttura a diamante in tubi di acciaio, col sei cilindri che non viene avvolto da tubi ma risulta appeso con funzione di irrigidimento. In questo modo si può godere di maggiore luce a terra in piega, problema sentito vista la sua larghezza e ridurre contemporaneamente l’interasse, portando il motore il più vicino possibile alla ruota anteriore. Le sospensioni fanno capo ad una forcella con steli da 35 mm di diametro simile a quella montata sulla CB750F bialbero e sull’ultima versione della CB750 Super Sport, ma con taratura diversa e più rigida. Gli ammortizzatori invece, una vera rarità per l’epoca, sono regolabili non solo nel precarico della molla ma anche nell’idraulica in estensione e compressione. La frenata è assicurata da tre dischi, con i due anteriori da 276 mm ed il posteriore da ben 295 mm. Le ruote a razze sono le Comstar scomponibili già viste sulla CB750 bialbero, ma che ora sulla CBX ricevono anche le razze in alluminio come il canale. Montano pneumatici Dunlop F11 da 3,50 V19 all’anteriore e K127 nella misura 4,25 V18 al posteriore espressamente sviluppati per resistere alle alte velocità per tempi prolungati.

93,6 CV alla ruota

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Alla prova dei fatti la CBX1000 stupisce per le qualità motoristiche e sul banco prova di Motociclismo nel gennaio 1979 fa segnare alla ruota 93,6 CV a 9.250 giri con una coppia di 7,39 kgm a 8.000 giri. Questi valori, riportati all’albero migliorano i dati dichiarati dalla Casa e cioè 105 CV a 9.000 giri e 8,5 kgm a 8.000. Anche velocità massima e accelerazione sui 400 metri sono da record con 223 km/ h e 11,6 secondi. Se aggiungiamo che il motore ha una curva di coppia e potenza estremamente lineare e che sotto i 6.000 giri si lascia condurre docilmente senza mettere in imbarazzo il guidatore meno esperto, otteniamo un quadro di eccellenza assoluta. Note altrettanto positive arrivano dai comandi, morbidi e scorrevoli, dai freni e dalle possibilità di piega elevate. Qualche perplessità la genera invece la stabilità ad alta velocità. La larghezza del propulsore - 60 centimetri - e la completa esposizione del pilota al vento della corsa generano una portanza che alleggerisce l’avantreno. A ciò si aggiunga una distribuzione dei pesi che, nonostante gli sforzi per montare il propulsore in posizione avanzata, privilegia il retrotreno con un 56% contro il 44% che grava sull’avantreno e oltre i 160 km/h il comportamento della Honda CBX1000 è tutt’altro che irreprensibile. Scrivono i tester di Motociclismo:“Un forcellone di sezione più generosa montato su cuscinetti anzichè su boccole di nylon e un ammortizzatore idraulico di sterzo da indurire alle alte velocità sarebbero molto utili a nostro giudizio per migliorare la stabilità quando si cammina forte”. Honda ha quindi fatto centro per l’interesse che la CBX ha sollevato intorno a sé e per il fascino che le sue soluzioni tecniche e stilistiche esercitano sugli appassionati, ma ha creato una moto dalla personalità poco decifrabile. A prestazioni motoristiche inarrivabili per la concorrenza si contrappongono buone doti dinamiche alle basse velocità ma carenti sul veloce, dove il motore potrebbe e dovrebbe fare la differenza. Principale responsabile è il peso elevato. Nonostante gli sforzi progettuali e alcune soluzioni di compromesso, come quella del forcellone sottodimensionato, l’ago della bilancia si ferma sui 258 kg a secco rilevati. Inoltre, chi nel 1979 ha sborsato 5.750.000 lire per entrare in possesso della moto mal digerisce alcuni problemi alla frizione che non ha vita facile con così tanta coppia e potenza da trasmettere. Inizia così un processo di trasformazione che sulle prime si manifesta in modo quasi inavvertibile. Le CBX consegnate nel corso del 1980 vedono la potenza dichiarata ridursi a 100 CV sempre a 9.000 giri, ma voci dell’epoca riferiscono che la potenza si fosse ridotta un po’ di più: almeno di una decina di CV. Il propulsore perde così una parte della sua cattiveria in alto a vantaggio di una vita più facile per gli organi di trasmissione e di una conduzione meno impegnativa quando il pilota decide di spalancare il gas. Nel frattempo la concorrenza ha messo in produzione modelli da mille e più cc capaci di prestazioni altrettanto elevate, ma più efficaci nelle guida sportiva rispetto alla CBX. Per sopravvivere la sei cilindri deve cambiare completamente pelle, visto che il confronto con le altre supersportive è perso. Quando la Kawasaki presenta la Z 1300, fa scendere in campo un modello privo di velleità sportive ma che fa dell’esclusività tecnica (col propulsore raffreddato a liquido) e dell’attitudine al turismo a largo raggio le sue frecce migliori. E per sgombrare il campo da ogni equivoco sulla sua destinazione, la Z 1300 ha trasmissione finale ad albero.

Nel 1982 arriva in Italia la Pro-Link

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Con la Pro-Link del 1981 la CBX1000 cambia volto. La nuova versione carenata viene definita nel test di Motociclismo: “Una poltrona-razzo, dotata di un motore meno rabbioso del precedente, di un’efficiente carenatura e di sospensione posteriore monoammortizzatore

Alla Honda decidono di imboccare la stessa strada presa ad Akashi e rinnovano la CBX, mantenendone le qualità dinamiche che non precludano la guida brillante. Il risultato è ancora una volta di quelli che lasciano a bocca aperta. La CBX1000 Pro-Link arriva in Italia all’inizio del 1982: dotata di un’ampia e protettiva carena, con una linea sinuosa che raccorda serbatoio, fianchetti e codino, tradisce subito la sua indole granturistica ma mantiene la scritta Supersport, a ricordare che il passato non è completamente dimenticato. Le modifiche sono tante e ben centrate. Rimane il telaio con struttura a diamante che ha nella leggerezza (14,3 kg) la sua dote migliore, nonostante in molti lo avessero additato come la causa dei problemi di tenuta di strada della vecchia versione. In realtà per cercare una migliore stabilità aumenta l’inclinazione del cannotto di sterzo, che passa da 27°,5’ a 29°,5’ e aumentano l’avancorsa e l’interasse. I maggiori benefici si ottengono però dalle nuove sospensioni: all’avantreno compare una forcella Showa oleopneumatica da 39 mm, contro i precedenti 35 mm, che come la precedente può essere gonfiata fino a 3 atm per irrigidirne la risposta. Il retrotreno è completamente rivoluzionato: al posto del risicato forcellone in tubi ora c’è un’unità in alluminio estruso a sezione rettangolare supportato da un cuscinetto ad aghi sulla sinistra e da una coppia di cuscinetti a rulli sulla destra. Comprime il monoammortizzatore attraverso la discussa, all’epoca, soluzione “Progressive Linkage” che si è affermata sulle fuoristrada di casa Honda e che trova per la prima volta applicazione su una moto stradale di grossa cilindrata. Migliorati anche i freni, con dischi anteriori autoventilati da 295 mm come il posteriore, e pinze flottanti a doppio pistoncino. Il motore ha visto modificare il suo carattere a favore di un’erogazione ancora più lineare e corposa ai medi regimi, più in sintonia con lo spirito della nuova CBX SS. La potenza rimane elevata, 89,4 CV a 9.750 giri il dato rilevato da Motociclismo alla ruota, ma le prestazioni risentono in modo negativo dell’aumentata sezione frontale e dell’aggravio di peso che sale fino a 278,5 kg rilevati a secco. L’accelerazione sui 400 metri fa segnare un tempo di 11,9 sec e la velocità massima si ferma a 205 km/h. Il comfort è però eccellente e le medie autostradali che ne derivano sono elevatissime. Solo il passeggero ha di che lamentarsi per i vortici che la carenatura crea alle spalle del pilota invece completamente riparato dal vento della corsa. Le vibrazioni inesistenti e la posizione di guida perfetta ne fanno un mezzo adatto alle lunghe percorrenze autostradali. Le note negative riguardano la maneggevolezza sul misto stretto dove la moto ha perso ancora agilità e lo sterzo che deve essere impugnato con decisione quando, sui tornanti montani per esempio, dimostra di volersi avvitare su se stesso. Gli ingombri sono ulteriormente aumentati per la presenza del paracilindri in tubi e questo non facilita le marcia nel traffico cittadino. Inoltre in estate il flusso di aria calda proveniente dal motore e deviato dalla carena, investe le gambe del pilota peggiorando il comfort di marcia. Per il resto i freni svolgono bene il loro lavoro nonostante i tanti kg che devono contrastare. Rimane qualche oscillazione del posteriore nei curvoni autostradali segnati da giunzioni dell’asfalto, ma rispetto alla versione precedente il fenomeno è molto attenuato e per niente preoccupante. Se si forza la piega, arrivare a strisciare le pedane è però affare da piloti esperti. Con l’uso prolungato emergono altri difetti, come la splendida verniciatura che non si dimostra molto tenace sulle parti in plastica che si rigano con facilità, mentre l’accoppiamento tra i componenti della carrozzeria dopo alcuni smontaggi e rimontaggi acquisiscono fastidiosi giochi. Permane inoltre una certa fragilità della frizione che, seppur irrobustita rispetto alla precedente unità, mostra ancora di non gradire i maltrattamenti gonfiandosi e strappando, oltre che accorciando decisamente il suo ciclo vitale. La CBX Pro-Link trova una vasta schiera di ammiratori, conquistati dalla classe della moto e dall’esclusività del suo propulsore, nonostante le 8.800.000 lire necessarie per portarsela a casa non siano proprio alla portata di tutti. Mentre la CBX si rinnova, le 4 cilindri sportive nel frattempo continuano però a progredire sia in termini di potenza e coppia sia in fatto di comfort grazie ad una progressiva riduzione delle vibrazioni. Inoltre, il vantaggio strutturale in termini di ingombri ne facilita il montaggio su ciclistiche sempre più evolute ed efficaci. Questo segna la rapida fine della CBX che nella versione carenata resta in produzione per quasi due anni, lasciandoci però il più bell’esempio di sei cilindri in linea della produzione mondiale, destinato, purtroppo, a rimanere insuperato.

Dati tecnici dichiarati (versione Pro-Link)

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Motore: sei cilindri in linea frontemarcia, 4 tempi, raffreddato ad aria. Testa e cilindri in lega leggera, cilindri con canne riportate in ghisa. Alesaggio per corsa 64x53,4 mm, cilindrata 1.047 cc. Rapporto di compressione 9,3:1. Distribuzione a doppio albero a camme in testa comandate da un doppio giro di catene, 4 valvole per cilindro, ø valvola di aspirazione 25 mm, ø valvola di scarico 22 mm. Diagramma di distribuzione: aspirazione 5°-35°, scarico 40°-5°. Potenza max 100 CV a 9.000 giri. Coppia max 8,6 kgm a 8.000 giri. Lubrificazione: a carter umido con pompa trocoidale a doppia mandata (portate di 36,5 e 27 litri/minuto a 4.000 giri, pressione media di 4,5-5 kgm). Radiatore supplementare di raffreddamento. Capacità impianto 5,5 kg. Alimentazione: sei carburatori Keihin VB61A ø 28 mm. Livello vaschetta 15,5 mm. Getto max principale 65, secondario 98. Vite del getto minimo aperta di 1 giro e 1/4. Filtro aria in schiuma espansa. Accensione: elettronica ad anticipo automatico misto transistorizzato e centrifugomeccanico. Anticipo fisso 10° a 900 giri. Anticipo massimo 41° a 8.000 giri. Candele NGK DR8ES-L oppure Denso X24ESR-U. Distanza fra gli elettrodi 0,6-0,7 mm. Impianto elettrico: alternatore trifase da 350 W. Batteria da 12V-18 Ah. Motorino di avviamento elettrico. Frizione: multidisco in bagno d’olio con 7 dischi conduttori e 8 condotti. Carico molla 19 kg Trasmissione: primaria a catena Morse ed ingranaggi a denti dritti, finale a catena (pignone cambio 18 denti, corona 42 denti). Cambio: in blocco a 5 rapporti con ingranaggi sempre in presa ed innesti frontali. Comando a pedale sulla sinistra. Rapporti interni: 2,238 in prima, 1,750 in seconda, 1,391 in terza, 1,200 in quarta, 1,037 in quinta. Telaio: a traliccio in tubi d’acciaio con struttura a diamante. Cannotto di sterzo montato su cuscinetti a rulli conici ed inclinato di 29° 5’, avancorsa 120 mm. Sospensioni: anteriore forcella teleidraulica Showa ø 39 mm, escursione 160 mm; posteriore forcellone oscillante in alluminio montato su cuscinetti ad aghi e a rulli, con monoammortizatore Showa a funzionamento misto aria-olio regolabile su tre posizioni. Escursione ruota posteriore 105 mm. Freni: anteriore due freni a disco autoventilanti da 295 mm con pinze a doppio pistoncino flottanti; posteriore a disco da 295 mm con pinza a doppio pistoncino flottante. Ruote: in lega scomponibili Comstar con cerchio e razze in alluminio. Anteriore da 2,50-19”, posteriore da 2,75-18”. Pneumatici: anteriore 3.50V19; posteriore 130/90V18. Dimensioni (in mm) e peso: lunghezza 2.285, interasse 1.540, larghezza 785, altezza max 1.150, altezza sella 810, altezza pedane 335, luce a terra 155. Peso a secco 250 kg. Prestazioni dichiarate: velocità max 211,5 km/h. 8,3 litri ogni 100 km (norme CUNA)

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