Moto mai nate: Yamaha e il progetto Morpho

A cavallo fra gli anni Ottanta e Novanta Yamaha sviluppa il progetto Morpho, una moto “intelligente” in grado di adattarsi alle caratteristiche - fisiche e di guida - del pilota grazie anche al massiccio utilizzo dell’elettronica. Non entrerà mai in produzione, ma alcuni dei concetti sviluppati sui prototipi, due in tutto quelli costruiti, si ritroveranno nella produzione in serie degli anni seguenti

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Yamaha Morpho

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Una “Concept-bike” è di solito una importante anticipazione del futuro con la quale le Case motociclistiche decidono di stupire pubblico ed addetti ai lavori, mostrando fino a dove possono arrivare la capacità tecniche dei loro R&D. Essendo un prototipo, una “Concept-bike” non rispetta le rigide regole imposte in sede di omologazione dai codici della strada, men che meno gli schemi convenzionali o, peggio, le mode del momento. Raramente però una “Concept” entra in produzione. Succede solo quando è richiesta a gran voce dagli appassionati o suscita così tanto interesse da spingere il commerciale di una Casa a forzare la mano degli ingegneri, come è accaduto in tempi recenti con il prototipo a tre ruote MWT-9, presentato dalla Yamaha al Salone di Tokyo del 2015 e commercializzato quattro anni dopo con il nome Niken. Oppure perché le sue soluzioni non sono così estreme da richiedere anni di collaudi e costosi programmi di sviluppo prima di raggiungere un’adeguata messa a punto. Molto più spesso da una “Concept” si traggono degli spunti. Prendiamo ancora ad esempio la Yamaha, che nel 1993 presenta la GTS 1000, una gran turismo con la sospensione anteriore monobraccio derivata dai progetti Morpho I e Morpho II sviluppati dalla Casa dei tre Diapason a cavallo fra gli anni Ottanta e Novanta. La GTS 1000 doveva essere la capostipite di una nuova generazione di maxi tourer, che avrebbe prima affiancato e poi sostituito la gloriosa FJ 1200 introducendo un nuovo modo di affrontare i grandi viaggi. Spinta dal motore quattro cilindri venti valvole della FZR 1000, opportunamente depotenziato e dotato dell’iniezione elettronica ed equipaggiata con un telaio anticonvenzionale ad omega, sospensione anteriore RAAD in alluminio e sterzo indiretto nel mozzo, la GTS utilizzava solo una minima parte dei concetti espressi dalle due versioni della Morpho, come la gestione elettronica delle sospensioni, ritenuti troppo estremi e ancora poco affidabili. Ma è stata comunque un flop commerciale. Troppo costosa per le tasche dei mototuristi, scettici anche sull’effettiva bontà della ciclistica, è rimasta in listino fino al 1999 per poi uscire di scena senza troppi rimpianti. Eppure la Yamaha aveva visto giusto: oggi una maxi-tourer di successo offre tutto quanto – se non molto di più – era stato anticipato dai suoi prototipi trent’anni fa.

La prima Morpho debutta al Tokyo Motor Show del 1989, da sempre la vetrina preferita dalle Case del Sol Levante per mostrare le proprie capacità di sviluppo tecnologico. Quell’edizione, la ventottesima per la rassegna giapponese, si svolge dal 26 ottobre al 6 novembre presso il Nippon Convention Centre nella Prefettura di Chiba. Lo slogan della manifestazione - “Freedom of Mobility. A taste of real life and luxury”, ovvero “Libertà di mobilità. Un assaggio di vita reale e di lusso” - viene recepito dal settore automobilistico soprattutto nella sua seconda parte. Toyota ad esempio presenta al pubblico di casa la sua “Concept-Car” 4500 GT (già vista al Salone di Francoforte) spinta da un V8 di 300 CV, con un CX aerodinamico di appena 0,29 e le sospensioni attive, mentre la Honda risponde con la NSX (presentata invece a Chicago pochi mesi prima), leggerissima sportiva con telaio in alluminio, impianto frenante dotato di ABS e motore equipaggiato con la prima versione del sistema V-TEC, subito eletta “regina” fra le automobili del salone dai quasi due milioni di visitatori. In campo motociclistico invece sono Honda e Yamaha a stupire tutti in quella edizione del “Tokyo Motor Show”, grazie a due modelli agli antipodi per concezioni, soluzioni tecniche e destino commerciale… Nello stand della Casa dell’Ala Dorata, fresca vincitrice del titolo mondiale della classe 500 con Eddie Lawson e la NSR 500 quattro cilindri, troneggia infatti la NR750. Costosissima versione stradale e capitolo finale del fallimentare progetto NR 500 a pistoni ovali che la Honda aveva lanciato nel lontano 1979. In casa Yamaha invece i riflettori sono puntati sulla Morpho, una “Concept-bike” curata in ogni dettaglio al punto da lasciarne addirittura ipotizzare una imminente produzione di serie.

Morpho Menelaus è una farfalla tropicale che vive in America Latina e che ha la capacità di modificare il suo colore in base all’intensità della luce che la colpisce e secondo l’ambiente che la circonda. Il nome contiene anche la radice della parola greca “morphe”, forma, che richiama il concetto di metamorfosi. E di una vera e propria metamorfosi a due ruote si tratta. Perché la moto, equipaggiata con un quattro cilindri in linea venti valvole di cui non viene specificata la provenienza (FZ 750 oppure FZR 1000 Ex-Up), tramite un sistema di snodi disposti lungo i travi discendenti del telaio doppio trave perimetrale e in altri punti strategici, può modificare la geometria di sterzo in funzione del percorso da affrontare e le esigenze di chi si trova in sella. Il pilota inoltre, sbloccando appositi meccanismi, può variare l’altezza, l’inclinazione e l’apertura dei semi manubri, l’altezza della sella e quella delle pedane. Consentendo così alla Morpho di adattarsi alle varie taglie di chi è alla guida. La sospensione anteriore è a due bracci sul lato sinistro – il primo che scende dal cannotto e comanda lo sterzo indiretto nella ruota ed il secondo infulcrato nel motore che assorbe la forza della frenata e le asperità dell’asfalto – con la ruota montata a sbalzo ed un solo freno a disco. Si tratta di un sistema sviluppato dalla Yamaha, ma brevettato dall’ingegnere americano James Parker - titolare della RAAD (acronimo di Rationally Advance Design Development) di Santa Fé - che separa le funzioni combinate di una forcella tradizionale e riduce l’affondamento in frenata dell’avantreno del 75%. Un unico ammortizzatore, disposto orizzontalmente sotto al lato sinistro del motore per lasciare spazio dall’altra parte allo sviluppo dei collettori e del silenziatore, collega la sospensione anteriore a quella posteriore. Che è invece un tradizionale forcellone scatolato in lega leggera simile a quello adottato sulla FZR 1000 Ex-Up a lei coeva. La collocazione sul lato sinistro del disco posteriore e della corona di trasmissione lascia però intuire che inizialmente i tecnici Yamaha avevano pensato ad un forcellone monobraccio anche al posteriore (da qui l’esigenza di spostare a sinistra anche il freno). Soluzione poi abbandonata sul prototipo esposto a Tokyo - le cui forme sono opera della GK Dynamics, uno studio di design che dal lontano 1955, quando ancora si chiamava GK Industrial Design Research Center e si era occupato della YA-1 125, ha firmato tutte le Yamaha di maggior successo – per evitare vertenze legali con la Honda, all’epoca titolare dei brevetti Elf relativi alla sospensione posteriore monobraccio.

La Morpho si guadagna presto la scena, finisce sulle copertine delle riviste specializzate di mezzo mondo e la Casa di Iwata, dopo essere stata lodata per aver percorso la strada di una motocicletta più umana quando il mercato è orientato verso modelli supersportivi, stampa addirittura un depliant pubblicitario dettagliato che sembra presagire la sua imminente produzione. Invece non se ne fa nulla. Mentre la Honda NR750 viene costruita in tiratura limitata - 322 esemplari - e venduta ad una cifra esorbitante (superiore ai cento milioni di lire dell’epoca) per una ristretta schiera di facoltosi appassionati, della Morpho si perdono le tracce fino al Tokyo Motor Show del 1991. Quell’anno sono due gli slogan della manifestazione, che strizza l’occhio all’ ecologia - “Discovering a new relationship: people, cars and the Earth as One” e “Environmental and Human Friendly”, ovvero “Alla scoperta di una nuova relazione: le persone, le auto e la Terra come una cosa sola” e “Rispetto per uomo e ambiente” - anticipando i temi del Summit della Terra, organizzato dall’ONU e in programma a Rio de Janerio nel 1992. tipo esposto a Tokyo - le cui forme sono opera della GK Dynamics, uno studio di design che dal lontano 1955, quando ancora si chiamava GK Industrial Design Research Center e si era occupato della YA-1 125, ha firmato tutte le Yamaha di maggior successo – per evitare vertenze legali con la Honda, all’epoca titolare dei brevetti Elf relativi alla sospensione posteriore monobraccio. La Morpho si guadagna presto la scena, finisce sulle copertine delle riviste specializzate di mezzo mondo e la Casa di Iwata, dopo essere stata lodata per aver percorso la strada di una motocicletta più umana quando il mercato è orientato verso modelli supersportivi, stampa addirittura un depliant pubblicitario dettagliato che sembra presagire la sua imminente produzione. Invece non se ne fa nulla. Mentre la Honda NR750 viene costruita in tiratura limitata - 322 esemplari - e venduta ad una cifra esorbitante (superiore ai cento milioni di lire dell’epoca) per una ristretta schiera di facoltosi appassionati, della Morpho si perdono le tracce fino al Tokyo Motor Show del 1991.

Quell’anno sono due gli slogan della manifestazione, che strizza l’occhio all’ ecologia - “Discovering a new relationship: people, cars and the Earth as One” e “Environmental and Human Friendly”, ovvero “Alla scoperta di una nuova relazione: le persone, le auto e la Terra come una cosa sola” e “Rispetto per uomo e ambiente” - anticipando i temi del Summit della Terra, organizzato dall’ONU e in programma a Rio de Janerio nel 1992. La Yamaha ritorna quindi sul progetto Morpho con una nuova versione che riprende i concetti della “Concept-bike” di due anni prima, estremizzati grazie al massiccio intervento - per quei tempi - dell’elettronica adeguandoli alla nuova visione ecologica ed “amichevole” dei mezzi di trasporto che contraddistingue la manifestazione. Anche la Morpho II (in foto qui sotto) mantiene la capacità di variare l’assetto e la posizione in sella in funzione del tipo di guida, turistica o sportiva, adottata. Ma il tutto è gestito da una centralina elettronica che memorizza gli assetti utilizzati (sia quello delle sospensioni che quello delle appendici aerodinamiche come il vetro del cupolino) e li attiva quando si inserisce nel cruscotto una carta magnetica, che sostituisce la tradizionale chiave di accensione, utilizzando un complesso sistema elettro-idraulico. La strumentazione è sdoppiata, una parte nella posizione tradizionale e una parte sul serbatoio. Un monitor a cristalli liquidi informa il pilota del check in corso prima dell’avviamento e fornisce tutte le informazioni utili: tipo di assetto di guida impostato, velocità, regime di rotazione, potenza disponibile, consumi. Le sospensioni, in questo caso entrambe monobraccio, sono controllate elettronicamente da un sistema chiamato CES (acronimo di Computerized Electronic Suspension) sviluppato dalla Yamaha in collaborazione con la Öhlins, che modifica la loro taratura utilizzando un apposito circuito idraulico in base alle differenti condizioni del fondo stradale e della velocità a cui si procede. Un altro sistema chiamato invece 2WS (Two Wheels Steering) modifica l’angolo di sterzo della ruota posteriore, che si muove leggermente “copiando” l’anteriore ed aumentando la stabilità alle elevate velocità, entrando in funzione autonomamente senza che sia il pilota a richiederlo, ma tenendo invece in considerazione i parametri della frenata gestita dall’ABS. Per limitare le emissioni inquinanti il motore è dotato di iniezione elettronica e marmitta catalitica.

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Yamaha Morpho II

Mentre la Morpho I del 1989 lasciava in vista il motore, la Morpho II del 1991 – il cui design non è opera della GK Dynamics di Tokyo, ma è curato direttamente dalla Yamaha – è interamente carenata e privilegia le forme arrotondate, nelle quali vengono “inglobati” tutti quei particolari che solitamente disturbano la linea, come l’impianto di scarico che viene occultato dal forcellone monobraccio. La carenatura e le appendici aerodinamiche in ABS sono frutto di un accurato lavoro in galleria del vento finalizzato a riparare chi guida dal vento durante la marcia. Tutte le forme sono arrotondate (una rivista francese scomoderà addirittura i ciotoli rotondi dei giardini zen per dire che la Morpho II non trasmette aggressività al pilota) mentre speciali cuscinetti di gomma antiurto in prossimità dei punti di contatto per le gambe e le caviglie di chi guida, evitano fastidiosi contatti e contusioni. Dopo il “Tokyo Motor Show” la Yamaha produce un video futuristico di cinque minuti che esalta il suo prototipo prima di consedella velocità a cui si procede. Un altro sistema chiamato invece 2WS (Two Wheels Steering) modifica l’angolo di sterzo della ruota posteriore, che si muove leggermente “copiando” l’anteriore ed aumentando la stabilità alle elevate velocità, entrando in funzione autonomamente senza che sia il pilota a richiederlo, ma tenendo invece in considerazione i parametri della frenata gestita dall’ABS. Per limitare le emissioni inquinanti il motore è dotato di iniezione elettronica e marmitta catalitica. Mentre la Morpho I del 1989 lasciava in vista il motore, la Morpho II del 1991 – il cui design non è opera della GK Dynamics di Tokyo, ma è curato direttamente dalla Yamaha – è interamente carenata e privilegia le forme arrotondate, nelle quali vengono “inglobati” tutti quei particolari che solitamente disturbano la linea, come l’impianto di scarico che viene occultato dal forcellone monobraccio. La carenatura e le appendici aerodinamiche in ABS sono frutto di un accurato lavoro in galleria del vento finalizzato a riparare chi guida dal vento durante la marcia. Tutte le forme sono arrotondate (una rivista francese scomoderà addirittura i ciotoli rotondi dei giardini zen per dire che la Morpho II non trasmette aggressività al pilota) mentre speciali cuscinetti di gomma antiurto in prossimità dei punti di contatto per le gambe e le caviglie di chi guida, evitano fastidiosi contatti e contusioni. Dopo il “Tokyo Motor Show” la Yamaha produce un video futuristico di cinque minuti che esalta il suo prototipo prima di consegnarlo all’oblio.

Nata come “Concept-bike”, la Morpho II assolve il suo compito ai saloni, ma in strada non percorre nemmeno un metro. Delle sue soluzioni tecniche in anticipo sui tempi resta traccia, come detto, nell’avantreno della GTS 1000 del 1993 ma anche nella linea del cupolino della prima TDM 850. Mentre la forcella RAAB di James Parker doveva essere adottata anche dalla FJR 1100 (il cui design è firmato GK Dynamics) di fine anni Novanta ma è poi stata scartata in favore di un componente più tradizionale. Anche le sospensioni intelligenti stanno affacciandosi sulle moto del terzo millennio, anche se con criteri di regolazione che non sono quelli immaginati dai tecnici Yamaha ai tempi della Morpho II trent’anni fa.

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