09 March 2023

Honda CX 500 Turbo: la capostipite

La prima a cavalcare la moda del turbo è la Honda, con la sua avveniristica CX500 Turbo che vanta soluzioni tecniche raffinatissime e qualità costruttiva all’avanguardia

L’applicazione della sovralimentazione nelle competizioni raggiunge l’apice negli anni Trenta del secolo scorso con l’utilizzo dei compressori volumetrici: basti ricordare la splendida BMW Kompressor, la sfortunata AJS V4 e - per rimanere in Italia - la Moto Guzzi 250 o la Gilera 4 cilindri vincitrice del Campionato Europeo nel 1939 con Dorino Serafini. Dopo un lungo periodo di oblio, la sovralimentazione torna prepotentemente alla ribalta alla fine degli anni Settanta. A dare il via è il settore automobilistico. La Renault nel 1977 porta al debutto in Formula 1 un motore turbo, mentre la prima vittoria arriva nel GP di Francia 1979 grazie a Jean Pierre Jabouille ed obbliga nel giro di poche stagioni anche gli altri Costruttori ad imboccare la strada dei piccoli 1.500 cc.

Prima le auto, poi le moto

Rene Arnoux al volante della Renault RS03, la prima F1 Turbo a vincere un GP

L’entusiasmo per la sovralimentazione portato da questi successi trascende l’aspetto puramente tecnico e diventa un fiore all’occhiello delle Case, che anche nella produzione di serie devono supportare la loro immagine con un modello sovralimentato per “certificare” l’elevato livello tecnologico raggiunto. Tra il 1982 e il 1983 arrivano sul mercato automobilistico una raffica di novità che sfoggiano, più o meno discretamente, la scritta Turbo.

Anche l’industria motociclistica non rimane insensibile al fascino della “fata Turbina”: la sovralimentazione attraverso un compressore volumetrico sarebbe sembrata più adatta alle esigenze di linearità d’erogazione richieste dalla guida di una moto. Ma la difficoltà di collocare il compressore - più ingombrante del turbo - e le complicazioni meccaniche relative alla trasmissione del moto alla puleggia del volumetrico fanno definitivamente propendere per il turbo.

Lo sviluppo inizia nel 1977

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Un prototipo pressochè definitivo viene messo sul banco a rulli per le ultime verifiche 

La prima a raccogliere la sfida in modo concreto è la Honda, che da sempre tiene a ribadire la sua leadership tecnologica e non può quindi trascurare quella che agli inizi degli anni Ottanta è la più alta e affascinante espressione della tecnica. Lo sviluppo ad Hamamatsu era cominciato nel 1977, prendendo come base la turistica CX500. Sulle prime può sorprendere la scelta di una tranquilla bicilindrica quando, si sa, il turbo è legato a prestazioni al top ed immagine sportiva. In realtà ci sono motivazioni sia tecniche che di marketing a sostegno di questa scelta. Il motore della CX ha i cilindri fusi in blocco col basamento e questo consente di disporre della rigidità necessaria a sopportare le maggiori sollecitazioni termiche che l’applicazione del turbo produce. In più, essendo un bicilindrico a V di 80°, può ospitare tra i cilindri molti di quegli accessori indispensabili al funzionamento del turbo senza eccedere negli ingombri.

Il problema del turbo-lag

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Nel disegno in trasparenza si nota il polmone di compensazione tra la V dei cilindri, prima degli iniettori

Dal punto di vista commerciale, invece, consente di creare quella media cilindrata con prestazioni da maxi che la moto turbo dovrebbe essere nelle aspettative degli appassionati e negli intenti dei progettisti. Nella realtà il lavoro è più complicato del previsto: sono soprattutto i tempi di risposta, il famoso turbo-lag, a preoccupare i tecnici. Gli ingegneri di casa Honda e agiscono su due fronti: la riduzione delle dimensioni della turbina e la gestione più accurata possibile di alimentazione ed accensione. Per il primo punto si rivolgono alla IHI, industria giapponese specializzata in compressori e motori a reazione, che realizza il più piccolo turbo mai visto fino ad allora. La turbina calda, quella investita dai gas di scarico, misura 50 mm di diametro e quella fredda, la turbina che soffia aria nel condotto di ammissione, 48 mm. Prima di allora non si era mai scesi sotto gli 85 mm. Un turbo rivoluzionario viene accoppiato ad un sistema di gestione del motore avanzatissimo per quegli anni. Ci sono infatti due centraline elettroniche che gestiscono rispettivamente il sistema di alimentazione ad iniezione e quello di accensione. Il cervello elettronico, come fu definito all’epoca, che sovrintende all’iniezione è alloggiato nel codino e riceve informazioni da una moltitudine di sensori che rilevano sia parametri ambientali, come la pressione e la temperatura dell’aria, sia parametri di funzionamento del motore, come l’apertura dell’acceleratore e regimi di giri.

Dal punto di vista meccanico, il propulsore della CX500 viene irrobustito per sopportare l’aumento di potenza e coppia dai 50 CV a 9.000 giri e 4,4 kgm a 7.000 giri dell’aspirato ai 78 CV a 8.000 e 7,5 kgm tra i 4.500 ei 7.500 giri dichiarati per la Turbo. Il rapporto di compressione scende da 10 a 7,2:1 e le valvole di scarico vengono rimpicciolite di 2 mm per accelerare la colonna dei gas e attivare più rapidamente la girante del turbo. I rapporti del cambio, così come il rapporto della primaria, vengono allungati mentre viene irrobustito l’albero di trasmissione finale; invariato invece il rapporto della coppia conica finale.

Primo test sull’anello soprelevato di Tochigi

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Lo schieramento di tecnici Honda durante la presentazione alla stampa europea, avvenuta sulla pista di Tochigi in Giappone 

La presentazione dinamica alla stampa europea avviene nella primavera inoltrata del 1981, dopo un primo “assaggio” statico al Salone di Colonia del 1980. Oltre al motore, anche ciclistica e sovrastrutture sono all’avanguardia. Il telaio in cui il bicilindrico è appeso con funzioni strutturali si compone di elementi tubolari e parti in lamiera scatolata. Le sospensioni Showa contano su un monoammortizzatore centrale posteriore azionato da un leveraggio con schema Pro-Link e su una forcella oleopneumatica con dispositivo anti-dive TRAC (Torque Reactive Antidive Control) regolabile su quattro posizioni. Entrambe le sospensioni possono essere regolate attraverso l’immissione di aria tramite apposite valvole. La carrozzeria è di disegno più turistico che sportivo, con un cupolino che termina col plexiglass quasi verticale e una lunga sella adatta ad ospitare il passeggero nel migliore dei modi. Le finiture sono impeccabili, ancora oggi la qualità delle plastiche e delle verniciature desta ammirazione. Completissima la strumentazione di foggia automobilistica che dispone di un indicatore a led per misurare la pressione del turbo.

La prova dinamica avviene, insolitamente, sull’anello soprelevato di Tochigi su un lotto di moto preserie particolarmente curate. La scelta dei vertici Honda non è casuale: il tracciato veloce e scorrevolissimo permette di tenere in tiro il motore e di minimizzare le decelerazioni che il turbo mal sopporta. Inoltre protezione aerodinamica e precisione direzionale che sulla Turbo sono di rilievo assoluto vengono ulteriormente enfatizzate dall’asfalto liscio e regolare. Nonostante la Turbo al debutto “giochi in casa”, l’autore del test sottolinea alcune perplessità: un certo ritardo di risposta tra i 4.000 e i 5.000 giri, il successivo “riattacco” piuttosto brusco e il peso da maxi più che da media.

Ingombri da maxi, prestazioni da media

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Per l’Italia il quantitativo di moto previste è di 200 e le prenotazioni non mancano nonostante un prezzo piuttosto elevato e stabilito in 9.380.000 lire franco importatore, contro i 6.405.000 lire della CB900 FII e i 10.080.000 lire della sportivissima CB1100R, top di gamma della Honda . Motociclismo deve attendere quasi un anno per sottoporre, sul fascicolo di maggio 1982, la CX Turbo ad una prova completa. Da un lato viene ribadito il fascino, l’elevatissimo livello delle finiture, il buon comportamento di telaio e freni ed il comfort di guida ma emergono anche alcuni difetti. Il peso è elevato, addirittura maggiore di quello riscontrato al tempo del test giapponese per l’irrobustimento di alcuni particolari, e se non disturba granché nei curvoni veloci si fa invece sentire nel misto, rendendo la moto restia a rapide inversioni di inclinazione. Anche i freni risentono della massa da decelerare: sono potenti e modulabili ma relativamente inclini al surriscaldamento quando li si sollecita a lungo. I consumi sono influenzati da quanto si apre la manetta ma sono in media elevati: circa 12,5 km/l su percorsi misti.

Un discorso a parte merita la guida. Fuori da un anello da alta velocità la Turbo dimostra di non avere eliminato i problemi legati al ritardo di risposta ai comandi dell’acceleratore. In pratica è necessario anticipare tutte le manovre: frenare per tempo, percorrere la curva con un filo di gas in modo da mantenere attivo il turbo e poi aprire a moto quasi dritta per poter gestire la brusca erogazione della potenza. Guidando diversamente, magari con lunghi rilasci, il turbo cala di regime in maniera marcata e prima di tornare a fornire i 1,2 bar di sovrapressione di cui è capace trascorrono lunghi attimi. Insomma, la Honda Turbo è nata per essere una media con la potenza di una maxi, invece ha peso e dimensioni di una 1.000 senza poter contare su un motore altrettanto disponibile ai bassi. Inoltre l’immagine sportiva legata al turbo non trova riscontro nel design e nella guida che deve essere fluida e scorrevole piuttosto che aggressiva ed istintiva.

Nel 1983 la Honda decide, anche sulla scorta di quanto fatto dalle altre Case giapponesi (che in rapida successione presentano i loro modelli sovralimentati), di incrementare la cilindrata della Turbo fino a 673,55 cc per cercare di rimpolpare l’erogazione in fase aspirata e guadagnare qualche CV in alto, ma la storia della CX 650 Turbo la tratteremo in seguito in un capitolo a parte.

Il servizio completo su Motociclismo d'epoca 12/2006-1/2007

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